Prorogata la mostra “Klimt e l’arte italiana”

È in corso al Mart di Rovereto una mostra che riunisce i due capolavori “italiani” di Klimt, Giuditta II e Le tre età, affiancandoli alle opere di oltre quaranta grandi maestri italiani del primo Novecento che furono profondamente influenzati dall’artista austriaco: in occasione della Biennale di Venezia del 1910 e dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911, un’intera generazione di artisti, tra cui Vittorio Zecchin ed i giovani “dissidenti” di Cà Pesaro, Vito Timmel, Felice Casorati, Galileo Chini e Luigi Bonazza, finì per rinnovare il proprio linguaggio artistico sotto l’influsso della cultura mitteleuropea.
Lo stesso Klimt fu a sua volta erede della tradizione italiana: l’impiego della foglia oro, di elementi decorativi e della bidimensionalità rispecchia l’ispirazione dell’artista ai mosaici bizantini delle chiese ravennati e alle murrine veneziane che ebbe modo di osservare durante diversi viaggi nel nostro Paese.

Il percorso espositivo consta di 200 opere provenienti da collezioni pubbliche e private ed è interamente dedicato all’analisi delle influenze del padre della Secessione viennese sull’arte italiana: dalla pittura alla scultura, passando attraverso le arti decorative, è evidente come discipline differenti convivano sotto il riconoscibile segno dell’artista, i cui riferimenti sono visibili nei decori, nell’opulenza cromatica e nello stile.
L’arte italiana del suo tempo ha preso diversi elementi in prestito, conservando al contempo un carattere originale e dando vita ad inedite forme espressive: parliamo in primo luogo del Divisionismo, fenomeno artistico che si afferma in Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che ne sconvolge l’uso del colore e della luce, dando luogo ad una rappresentazione affine all’estetica simbolista di Klimt. Le opere sono caratterizzate da linee sinuose, forme geometriche e colori luminosi, che rispecchiano la propensione dell’artista viennese all’ornamentale.
Lo spirito rivoluzionario di Klimt ha indubbiamente lasciato un’impronta nelle opere degli artisti italiani favorendo anche l’innovazione e la rottura con la tradizione, come nel caso del Futurismo e del fascino per il dinamismo e per la frenesia della vita moderna.

Gli artisti italiani del Novecento non furono dunque meri imitatori di Klimt, bensì ne furono ispirati reinterpretandone il linguaggio, con esiti del tutto nuovi e stupefacenti che potrete scoprire personalmente visitando la mostra, la cui apertura è stata prorogata fino al 27 agosto.

 


Arthur Duff celebra l'unicità insita in ciascuno di noi

Avete mai pensato di partecipare alla creazione di un’opera d’arte?

The Human Safety Net, la Fondazione del gruppo Generali dedicata a fornire sostegno a famiglie e rifugiati in difficoltà, ha trovato casa presso le Procuratie Vecchie di Piazza San Marco a Venezia e dal 14 aprile ospita un’opera di Arthur Duff intitolata “The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential”: si tratta di un’installazione facente parte della mostra permanente “A World of Potential”, che consente ai visitatori di esplorare ed approfondire la conoscenza dei punti di forza insiti nel proprio carattere attraverso 16 diverse installazioni interattive, sia analogiche che digitali.

L’opera di Arthur Duff situata all’interno dell’Art Studio, uno spazio dedicato a mostre temporanee che ospitano opere di artisti la cui sensibilità e visione siano affini ai valori comunicati dalla Fondazione, trasforma i punti di forza dei visitatori, individuati precedentemente lungo il percorso, in una rappresentazione artistica sensazionale e irripetibile attraverso l’utilizzo di un sistema laser che crea forme uniche in un caleidoscopio di luci e colori. La finalità è quella di sottolineare e celebrare l’unicità che caratterizza ciascuno di noi e ci contraddistingue dagli altri. La presa di coscienza di questa stessa unicità, riprendendo i propositi di The Human Safety Net, dovrebbe aiutare le persone, talvolta emarginate, ad integrarsi nella società e a sfruttare le proprie potenzialità con consapevolezza, al fine di trovare il proprio posto nel mondo.

Uno dei punti di forza della mostra è indubbiamente la sua natura innovativa e interattiva, che permette ai visitatori di condurre un’esperienza unica durante la quale mettersi in gioco in prima persona e partecipare attivamente alla creazione di un’opera d’arte. Ma non si tratta di un’attività da sperimentare esclusivamente in chiave individuale, poiché l’individuo è chiamato a relazionarsi con l’altro nel momento in cui, terminati i trenta secondi di esposizione della propria composizione laser, essa può lasciare spazio alla rappresentazione di una nuova immagine al sopraggiungere del visitatore successivo. L’esperienza è dunque profondamente immersiva e personale ma al contempo presuppone la condivisione di uno spazio e di un momento di interazione con gli altri, all’interno di un dialogo che protegga sempre la libertà di espressione di ciascuno di noi.

 


Beni culturali e diritto all’immagine: storica sentenza del Tribunale di Firenze

di Avv. Michela Zanetti

 

L’utilizzo e la riproduzione dei beni culturali è ora come non mai al centro dell’attenzione dei media: dai molti interrogativi suscitati dall’utilizzo della Venere di Botticelli nella campagna “Open To Meraviglia” recentemente promossa dal Ministero del Turismo all’intervento normativo con cui il ministro Sangiuliano ha dettato le linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d'uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali (del D.M. 161/2023).

Proprio in questo scenario è giunta ieri una sentenza del Tribunale di Firenze con cui è stato dichiarato illegittimo l’utilizzo a scopi pubblicitari dell’immagine del David di Michelangelo; l’opera (“modificata col meccanismo della cartotecnica lenticolare e quindi sovrapposta all'immagine di un modello”) era stata riprodotta sulla copertina di una rivista edita da una nota casa editrice, senza alcun consenso da parte delle Gallerie dell’Accademia e senza il pagamento di alcun corrispettivo. Inoltre, la riproduzione dell’immagine attraverso la tecnica lenticolare avrebbe permesso alla società editoriale di accostare “insidiosamente e maliziosamente” l’immagine del David di Michelangelo a quella di un modello “così svilendo, offuscando, mortificando, umiliando l’alto valore simbolico ed identitario dell’opera d’arte ed asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”. Tutto ciò avrebbe determinato alle Gallerie un danno di carattere patrimoniale e non, per un importo complessivo di circa 50mila euro.

Sebbene il David abbia già fatto parlare di sé in passato nelle aule del Tribunale, la decisione in esame rappresenta la prima sentenza di merito sull’argomento, che sancisce a pieno titolo la tutela all’immagine dei beni culturali nel nostro Paese. Il Tribunale di Firenze ha, infatti, riconosciuto l’immagine dei beni culturali come espressione dell’identità culturale della Nazione e della sua memoria storica, tutelabile ex art. 9 della nostra carta costituzionale.

 


È un falso solo perché lo dice l’Archivio? Il caso del dipinto di Josef Albers “Study for Homage to the Square”

di Avv. Michela Zanetti

 

In una sentenza del novembre 2021, la Corte d’Appello di Milano si è chiesta se l’opinione resa da archivi e fondazioni possa essere sufficiente a decretare, tout court, l’autenticità o meno di un’opera d’arte.

Oggetto del contendere era il dipinto «Study for Homage to the Square» attribuito, secondo quanto riferito dallo stesso proprietario, all’artista Josef Albers. L’opera, acquisita per eredità, era priva sia del certificato di autenticità che del numero di archiviazione. Nulla di anomalo, fintanto che il dipinto era rimasto appeso alle pareti dell’abitazione del suo proprietario. Tuttavia, quando un mercante d’arte mostrò interesse all’acquisto, l’opera fu sottoporta all’esame del legale rappresentante della Albers Foundation – fondazione istituita nel 1971 che si occupa di tutelare nel mondo il nome e le opere dell’artista. L’analisi (affidata esclusivamente all’esperienza e all’occhio allenato dell’espero) si rivelò disastrosa: il dipinto venne dichiarato falso e la firma apocrifa. Supportato dalla storica dell’arte della Fondazione, il legale rappresentante denunciò il proprietario del dipinto al nucleo Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale di Monza. All’esito del giudizio di primo grado, nell’ottobre 2020, l’opera fu confiscata e il proprietario condannato per ricettazione - n.d.r. poi assolto nel giudizio d’appello.

La sentenza venne impugnata dai legali dell’imputato, che insistevano sull’assenza dell’elemento oggettivo (assenza della prova certa della falsità) e soggettivo del reato (assenza del dolo eventuale). Secondo la ricostruzione della difesa, l’imputato non poteva avere alcuna reale consapevolezza della (presunta) falsità dell’opera, in forza dell’intrinseca storicità della stessa - purtroppo ignorata o, comunque, sottovalutata dall’analisi di Weber. Nello specifico, (i) il dipinto presentava alcune iscrizioni sul retro della tela riconducibili al padre del gallerista e, forse, allo stesso Albers, (ii) l’opera risultava inclusa in un volume dedicato all’artista, la cui prefazione era redatta proprio da Weber e (iii), infine, il dipinto era stato esposto in una mostra, ufficializzata nel sito internet della stessa Fondazione.

La Corte – consapevole del fatto che non sempre chi possiede un’opera d’arte è in grado di provarne l’autenticità, e che l’incertezza che da ciò ne deriva è elemento caratterizzante lo scambio di beni nel mercato dell’arte - si è interrogata su quale debba essere il peso effettivo dell’opinione resa da archivi e fondazioni nel determinare la non autenticità di un’opera, in considerazione anche del ruolo che tali enti ormai rivestono nel mercato dell’arte. Infatti, l’autorità riconosciuta ad archivi e fondazioni nel decretare l’autenticità o meno di un’opera d’arte deriva da una consuetudine instaurata e riconosciuta nel mercato dai suoi principali operatori (galleristi, case d’asta e mercanti d’arte) e che si fonda, di fatto, sulla credibilità e buona reputazione di cui godono tali enti. Tuttavia, archivi e fondazioni, quando sono chiamati a valutare l’autenticità o meno di un’opera, non fanno altro che esprimere delle opinioni che, pur se indubbiamente autorevoli, non godono di certezza assoluta né derivano dalla applicazione di una scienza esatta. Tali opinioni, piuttosto, conservano un’intrinseca soggettività ed un innegabile margine di discrezionalità e sono, pertanto, sempre modificabili e contestabili.

È quindi possibile che un solo occhio esperto, per quanto autorevole, sia in grado di decretare la non autenticità di un’opera d’arte? Si legge in sentenza: Il parere di un esperto, indipendentemente da quanto autorevole sia, può sempre essere messo in discussione da altro esperto o consulente. Occorre, infatti, tener conto della peculiarità dell’oggetto d’arte come oggetto di scambio, peculiarità che dipende principalmente dall’incertezza intrinseca della sua esatta identità e provenienza, che spesso dipendono da una valutazione, quella dell’esperto, che per quanto diligentemente resa, altro non è se non un giudizio, un’opinione, suscettibile come tale di mutamento.

I giudici milanesi sembrano aver preso consapevolezza del fatto che le opinioni sull’autenticità delle opere d’arte devono essere supportate da prove tecniche, storiche, scientifiche – in altre parole, da una attenta due diligence: solo così il destino di un’opera d’arte (autentica/non autentica) potrà essere affrancato dal parere di un unico soggetto/ente. Ciò a maggior ragione se si considera che, talvolta, tali enti possano trovarsi in conflitto di interessi con le parti coinvolte. Nel caso in esame, infatti, la Fondazione Albers si occupa anche di vendere al pubblico alcune opere dell’artista, esclusivamente attraverso rappresentanti autorizzati. Sul punto la Corte ha chiarito che il vaglio di attendibilità doveva essere ancora più penetrante in considerazione del fatto che l’Archivio, che possiede il monopolio sul rilascio dei certificati di autenticità, risulta altresì proprietario di opere e, quindi, inevitabilmente portatore di interessi economici sul mercato, dovendosi ipotizzare anche un potenziale conflitto d’interesse. La Fondazione Albers, difatti, come risulta espressamente dal suo sito web istituzionale, si occupa anche di vendere al pubblico un limitato numero di opere attraverso i suoi rappresentanti autorizzati.

La speranza è questa sentenza aiuti gli operatori del mercato dell’arte a comprendere la necessita e l’importanza di eseguire attente ed approfondite analisi e valutazioni sull’autenticità e provenienza delle opere che intendono scambiare, attraverso l’aiuto della professionalità di tecnici, storici dell’arte e legali.

 


Il Foppa “mascherato”: un recente caso in tema di annullamento in autotutela dell’attestato di libera circolazione

di Avv. Michela Zanetti

 

Risale allo scorso 3 aprile una nuova pronuncia del Tar Lazio in materia di annullamento in autotutela di un attestato di libera circolazione rilasciato dalla Soprintendenza di Genova qualche anno fa. Il provvedimento, datato settembre 2019, consentiva l’uscita dal territorio nazionale di un dipinto raffigurante un San Pietro su fondo oro, acquistato all’asta da una società svizzera per circa duemila euro. Ottenuto l’attestato, l’acquirente, che opera nel mercato dell’arte, aveva trasferito il dipinto all’estero per restaurarlo. Nel 2021, l’opera restaurata raggiungeva Christies’ New York per essere rivenduta in asta, con la descrizione “Pittore del XVII secolo: San Pietro Dipinto su tavola fondo oro cm. 47x40 – ALC (Genova) n. 18603 del 3.9.2019”. Tuttavia, durante le consuete valutazioni preliminari, gli esperti della casa d’asta newyorkese attribuivano l’opera al pittore bresciano Vincenzo Foppa, padre del Rinascimento lombardo, e ne stimavano il valore tra i 200 e i 300 mila dollari. La notizia approdava anche sui social e così, da alcune discussioni in un gruppo privato di Facebook, il Ministero veniva a conoscenza del riconoscimento del dipinto e della sua imminente vendita all’asta. Immediatamente, l’amministrazione si attivava tramite il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per interrompere la procedura di vendita e annullava, in autotutela, ex art. 21 nonies L. n. 241/90, l’attestato di libera circolazione dell’opera, ordinandone altresì il rientro in Italia. Nella speranza di poter annullare tali provvedimenti, la società proprietaria del dipinto proponeva ricorso al Tar. Lo scorso aprile, il Tar dichiarava improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso principale e rigettava il ricorso per motivi aggiunti.

Non è poi così infrequente che l’amministrazione intervenga successivamente al rilascio di un attestato di libera circolazione per dichiararne l’annullamento tramite l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 21 nonies della L. 241/90: si tratta del cosiddetto annullamento in autotutela, efficace retroattivamente, che può essere invocato laddove l’amministrazione, riesaminando il proprio operato, si accorga di un vizio esistente ab origine nel provvedimento. Il rimedio è esperibile in presenza di un interesse pubblico tale da giustificare l’annullamento dell’atto viziato. Il legislatore ha previsto un limite temporale all’esperibilità di tale rimedio, fissando un termine di dodici mesi (n.d.r. diciotto all’epoca della vicenda in oggetto) oltre il quale l’amministrazione non potrà più agire in autotutela (anche se l’applicabilità di tale termine anche agli attestati di libera circolazione non è poi così pacifica in giurisprudenza).

In che casi, quindi, l’amministrazione potrebbe voler annullare in autotutela un attestato di libera circolazione? Per fare qualche esempio, si pensi all’ipotesi in cui un’opera subisca un cambio di attribuzione (dapprima attribuita alla “bottega di” o alla “scuola di” e poi riconosciuta come di mano del maestro) oppure all’ipotesi in cui, appunto, un restauro sveli un’opera totalmente diversa rispetto a quella portata all’esame dell’amministrazione (il TAR Lazio in una pronuncia del 16.10.2018 parla addirittura di aliud pro alio); famoso il caso che ha visto coinvolto un dipinto di Giotto, originariamente attribuito ad un anonimo imitatore del XIX secolo e lasciato uscire dall’Italia che si è poi rivelato ascrivibile, in seguito al restauro, nientemeno che al grande maestro. Ancora, si potrebbe pensare all’ipotesi in cui un’opera venga riesaminata all’estero e si riveli essere di eccezionale rarità– si pensi al caso del dipinto Ritratto di Camillo Borghese di Francois Gérard, attualmente in giudizio, dove l’opera era stata presentata alla Soprintendenza di Bologna come dipinto ad olio su tela raffigurante ritratto virile, salvo rivelarsi poi come l’unico ritratto presente in Italia di Camillo Borghese, cognato di Napoleone.

Per quanto riguarda il caso in esame, le ragioni che hanno portato il Ministero a procedere con l’annullamento in autotutela si basano sul fatto che l’attestato di libera circolazione sarebbe stato rilasciato sulla base di un’istruttoria ritenuta insufficiente, svolta sulla base di una denuncia fuorviante, carente ed incompleta […]. L’opera sarebbe stata sottoposta all’esame della Commissione presso l’Ufficio Esportazione di Genova “imbruttita e “mascherata” […] Il cattivo stato di conservazione del dipinto, aggravato da pesanti ridipinture, e la mancata indicazione dei predetti elementi conoscitivi avrebbe indotto le Commissioni istruttorie interpellate […], a rilasciare il richiesto attestato sulla base di una rappresentazione carente ed incompleta dei fatti. Nonostante i numerosi motivi di ricorso presentati dal proprietario del dipinto, il Tar ha comunque ritenuto scevra da profili di illogicità e irragionevolezza la valutazione resa dall’amministrazione in conformità con i criteri fissati dal D.M. 537/2017 (nella fattispecie, qualità artistica e rarità) e pertanto ne ha escluso la sindacabilità in sede giurisdizionale, rigettando il ricorso.

Si tratta di questioni che fanno discutere e lasciano aperti molti interrogativi. In un mondo come quello dell’arte, la questione relativa all’attribuzione e alla provenienza (specialmente con riguardo alle opere più risalenti) porta in sé un’incertezza intrinseca, essendo spesso ancora affidata quasi esclusivamente alle opinioni degli esperti, per loro stessa natura modificabili ed opinabili. Uno strumento come quello dell’annullamento in autotutela rischia, quindi, di ingenerare ancora più incertezza e confusione nei soggetti che si trovano ad operare all’interno del mercato dell’arte. Forse il problema potrebbe essere in parte risolto a monte, ovvero fornendo alle amministrazioni gli strumenti per approfondire in maniera ancor più rigorosa la provenienza delle opere e la loro attribuzione, attraverso una attenta due diligence storico artistica. In tal modo si eviterebbe di dover “correre ai ripari” quando ormai l’opera ha già varcato i confini del nostro paese, con una maggior tutela di tutti gli interessi coinvolti.

 


Il Surrealismo in mostra a Milano

La collezione permanente del Mudec di Milano ha aperto un dialogo con 180 opere, tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti provenienti dal museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, ove è conservata una delle più importanti collezioni di arte surrealista al mondo.

La mostra Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen è affidata alla curatela di Els Hoek, storica dell’arte, ed indaga il complesso rapporto tra l’universo surrealista e le culture extra occidentali.

I capolavori di Max Ernst, Man Ray, Dalì, Magritte e Paul Delvaux consentono ai visitatori di esplorare appieno la ricerca surrealista, incentrata sulle tematiche della psiche, del sogno e realtà, dell’amore, della morte, dell’inconscio e del desiderio, lungo un percorso suddiviso in sei sezioni, ciascuna delle quali è introdotta da una scultura o da un oggetto simbolico che ne evoca il tema stesso.

Il surrealismo fu anche movimento filosofico e letterario, politicamente impegnato ed in netta contrapposizione con la società occidentale industrializzata degli anni ’20: rifiutando la logica e la corruzione causata dall’eccessivo materialismo, tramite la messa a nudo del nostro subconscio gli artisti surrealisti negano i limiti della razionalità e traspongono sulla tela l’esperienza onirica e l’elemento fantastico all’interno di un’atmosfera metafisica.

Dall’accostamento apparentemente casuale di singoli elementi, talvolta contraddittori rispetto alla realtà in cui vengono inseriti, il confine tra realtà e illusione diventa sempre più labile provocando nello spettatore una sensazione di inquietudine e smarrimento. Tra le tecniche impiegate troviamo la decalcomania, i collages ed il frottage, la cui paternità viene tipicamente attribuita a Max Ernst: si tratta di una tipologia di automatismo psichico che, attraverso forme libere di associazione, dà origine ad immagini dal significato simbolico che trascendono il controllo morale o razionale della coscienza travalicando canoni estetici prestabiliti. La finalità dell’arte è difatti quella di sovvertire la realtà che conosciamo abitualmente, traducendo l’attività dell’inconscio in un prodotto figurativo inedito ed inconsueto, ove è ricorrente la metamorfosi dei soggetti e l’esasperazione dei caratteri raffigurati.

Il potere creativo dell’inconscio rompe il predominio della ragione in questa imperdibile rassegna che sarà aperta al pubblico fino al 30 luglio 2023.

 


Backstage One Stop Art – Le cantine “culturali”: intervista a Nicola Baù

Nell’edizione del Vinitaly che si è appena conclusa sono stati esposti i “Bacco” di Caravaggio e Guido Reni: perché?

L’esposizione di questi due capolavori dell’arte italiana e mondiale (in prestito dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze) all’interno del più importante evento fieristico mondiale dedicato al vino italiano sancisce ufficialmente il connubio tra arte ai massimi livelli e vino.

Come ha dichiarato il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, l’obiettivo è quello “di far percepire quanto sia radicato il vino nella storia e nella cultura italiana e mondiale, un elemento utile per raccontarla e garantire ai nostri prodotti agroalimentari, attraverso i nostri beni culturali, di entrare nei mercati attraverso strade alternative”.

 

Quindi il legame tra arte e vino è un fenomeno recente?

No, il binomio arte e vino ha origini antiche. Il vino è da sempre una presenza costante nelle opere d’arte, dalla pittura alla scultura. Il vino è presente già nell’arte egizia del XIV secolo a.C., in quella classica antica (greca e romana) e nel Rinascimento italiano. Il nettare di Bacco è rappresentato nelle nature morte di molti artisti dell’Ottocento e degli impressionisti per arrivare fino all’arte contemporanea. Addirittura, nell’edizione 2023 del CAM Mondadori, il catalogo d’arte contemporanea più famoso d’Italia, sono riportate due opere denominate “Gea” [pronuncia “Ghea”, ndr] a firma dell’artista trevigiana Eleonora Bottecchia che consistono in due jeroboam [bottiglie da 3l, ndr] di prosecco e prosecco rosé: sicuramente una prima volta storica del prosecco nel CAM.

Quindi possiamo senz’altro affermare che il vino è stato da sempre scelto dall’arte.

La vera “novità” è che, oggi, anche l’arte viene scelta dal vino o, più precisamente, dalle aziende vitivinicole.

 

Quali sono le iniziative legate all’arte più diffuse tra le cantine?

Possiamo provare a raggruppare tali iniziative all’interno di alcune macrocategorie, con la precisazione che non è sempre agevole inquadrarle all’interno di una categoria piuttosto che di un’altra:

(a) Acquisto o commissione di opere d’arte da installare in cantina: tra i molteplici esempi, si pensi alle collezioni di Ca’ Del Bosco (Franciacorta), Castello di Ama (Chianti Classico), Zaccagnini (Abruzzo), Mastroberardino (Avellino) e Antinori (Chianti Classico);

(b) Realizzazione di etichette o packaging d’artista: qui gli esempi potrebbero essere infiniti, mi limito a citare la cantina Nittardi (Chianti Classico), appartenuta a… Michelangelo Buonarroti e acquistata negli anni Ottanta da Peter Femfert, noto collezionista, editore e gallerista di Francoforte, nonché Pradio (Friuli), della famiglia Cielo, che ha affidato la realizzazione delle etichette di propri vini di maggiore qualità al pittore locale Walter Starz;

(c) Progettazione della cantina affidata ad architetti o designer di fama internazionale: mi vengono subito in mente le 14 cantine appartenenti circuito denominato “Toscana Wine Architecture” (winearchitecture.it), firmate dai grandi maestri dell'architettura contemporanea, di cui fa parte anche la cantina Antinori, eletta cantina più bella del mondo dal World’s Best Vineyards 2022; oppure Tenuta Castelbuono (Umbria), della famiglia Lunelli, caratterizzata dalla cupola in rame a forma di “carapace” realizzata da Arnaldo Pomodoro;

(d) Partnership con realtà culturali e artistiche: si pensi alla recente collaborazione tra Pasqua Vini (Verona) e lo studio d’arte multidisciplinare fuse* che, per il secondo anno consecutivo, hanno portato al Vinitaly un’installazione site-specific (quella di quest’anno è denominata “Luna Somnium”); oppure alla collaborazione storica tra Bellavista (Franciacorta) e il Teatro alla Scala di Milano nell’ambito della quale ogni anno vengono realizzati apposite etichette e confezioni; oppure ancora alla Zenato Academy, progetto dell’azienda Zenato (Verona), che nasce come laboratorio permanente di studio e sperimentazione in campo culturale e fotografico e, in collaborazione con alcune scuole di fotografia, promuove i giovani, realizza mostre e volumi fotografici;

(e) Realizzazione di musei tematici del vino: si possono citare il MUVIT (Museo del Vino) gestito dalla Fondazione Lungarotti Onlus (e dalla famiglia Lungarotti, proprietaria dell’omonima cantina), con sede a Torgiano (Umbria) nonché il Museo del Prosecco che verrà realizzato a Conegliano all’interno del “Parco Prosecco” (polo agritech incubatore di startup) in un sito di archeologia industriale abbandonato.

Oltre alle iniziative appena menzionate, ne esistono innumerevoli altre tipologie, quali: la sponsorizzazione di eventi culturali e artistici (in cui la cantina-sponsor ha l'opportunità di promuovere il proprio marchio associandolo all'iniziativa oggetto di sponsorizzazione), la liberalità a sostegno del patrimonio culturale (incentivata attraverso il cd. art bonus), anche nella forma della devoluzione di percentuali sulle vendite di una linea di bottiglie a cause artistico-culturali, la promozione di premi d’arte o letterari, la realizzazione di residenze per artisti, l’organizzazione di viaggi culturali, l’organizzazione di seminari e workshop per dipendenti e clienti su temi artistico-culturali.

 

Qual è stata la prima cantina a “scegliere” l’arte?

Sono leggendarie alcune etichette di Grand Cru di Bordeaux della cantina Château Mouton Rothschild (Francia) realizzate da artisti come Georges Braque, Joan Mirò e Francis Bacon. Alcune di queste bottiglie sono dei veri e propri oggetti da collezione.

 

Perché le aziende vitivinicole decidono di investire in arte e cultura?

In base alla mia esperienza, ritengo che la principale motivazione all’investimento culturale risieda nella passione personale dell’imprenditore o della famiglia proprietari della cantina. Tuttavia, mi sembra l’arte venga sempre di più percepita come un medium per migliorare l’immagine aziendale e il prestigio del brand. Altre motivazioni sono legate al perseguimento di obiettivi di: responsabilità sociale d’impresa (miglioramento del luogo di lavoro dei dipendenti, supporto alla comunità artistica, creazione di nuove connessioni con i clienti e la comunità locale); comunicazione di un’impresa innovativa; investimento economico; stimolo alla creatività dei dipendenti; ottenimento di vantaggi fiscali.

 

Quali difficoltà incontrano le “cantine culturali”?

In generale, con l’eccezione di poche cantine più strutturate e con una maggiore tradizione culturale, spesso rilevo un approccio improvvisato e poco programmato rispetto all’iniziativa culturale.

Infatti, va ricordato che l’opera d’arte – ancor più se parte di una collezione – è un bene peculiare e complesso sia dal punto di vista del suo regime giuridico (diritti di sfruttamento, esportazione, vincolo culturale, ecc.) sia per quanto riguarda la sua conservazione (ambiente idoneo, assicurazione).

All’interno dell’azienda manca quasi sempre una figura o un ufficio specifico che si occupi della gestione della collezione. A volte le cantine, per realizzare e gestire le proprie collezioni, neppure si affidano a dei professionisti esterni (avvocati, fiscalisti, art advisor, broker assicurativi, esperti di finanza agevolata).

Inoltre, molte cantine culturali ignorano il problema della corretta contabilizzazione delle proprie opere d’arte, della scelta del criterio di valorizzazione in bilancio (costo o fair value) e dei successivi aggiornamenti di valore (anche ai fini assicurativi).

Dal punto di vista del marketing, se le opere sono un asset strategico, devono essere scelte, gestite e comunicate in maniera coerente con la vision e l’immagine aziendale.

 

C’è un’iniziativa in tema arte-vino in particolare che vorrebbe menzionare?

Da appassionato di musica, non posso non ricordare il compositore giapponese Ryuichi Sakamoto, peraltro mancato pochi giorni fa, autore tra l’altro di note colonne sonore come quelle per i film diretti da Bernardo Bertolucci “L'ultimo imperatore” e “Il tè nel deserto”.

Nel 2022 il maestro Sakamoto, su incarico della Maison de Champagne Krug (gruppo LVMH), ha composto “Suite for Krug in 2008”, una sinfonia ispirata ai tre Champagne realizzati con il raccolto di un’annata eccezionale. Attraverso questa iniziativa, la Maison Krug intende evidenziare l’influenza del suono sulla percezione del gusto. In pratica, in luogo del più noto abbinamento gastronomico, la Maison Krug propone un abbinamento musicale come modalità inedita per scoprire sfaccettature inaspettate dei propri Champagne.

 


La Collezione Peggy Guggenheim di Venezia dedica una retrospettiva ad Edmondo Bacci

La Collezione Peggy Guggenheim di Venezia presenta Edmondo Bacci. L’energia della luce, a cura di Chiara Bertola: si tratta della prima e più esaustiva retrospettiva dedicata all’artista, nato a Venezia nel 1913, che consta di un’ottantina di opere, molte delle quali disegni e dipinti inediti, dense di significato e potenza creativa.

Il percorso espositivo, seguendo l’ordine cronologico, attraversa tutta l’opera di Bacci prendendo il via dal nucleo di tele, in bianco e nero, intitolate Cantieri e Fabbriche, realizzate tra il 1945 e il 1953: negli anni Cinquanta l’artista aderisce allo Spazialismo e si afferma all’interno degli ambienti espositivi veneziani vivendo il periodo più promettente ed internazionale della sua carriera.
A Venezia Bacci era difatti inserito in un ambiente culturale altamente dinamico e ricco di opportunità per i giovani artisti emergenti e negli stessi anni viene notato da Peggy Guggenheim, che ne diventa attiva sostenitrice e collezionista, per la forza dirompente del colore, la rottura dei piani spaziali e l’originalità caratterizzanti i suoi dipinti ed inizia ad ottenere un notevole successo, acclamato dalla critica nazionale più accreditata.
Oggigiorno l’artista si inserisce tra le eccellenze artistiche venete, affiancando Emilio Vedova e Tancredi Parmeggiani.

Dopo le Albe, gli Avvenimenti sono i protagonisti delle sale successive. Realizzati nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, questo nucleo di opere rappresenta l’evoluzione del percorso di ricerca dell’artista, nonché il cuore poetico e creativo del lavoro di Bacci: in occasione della mostra, Avvenimento #13 R, realizzato nel 1953 ed acquistato da Alfred H. Barr Jr, allora direttore del Museum of Modern Art di New York, torna ora in Italia per la prima volta.

Inserito nella vasta stagione dell’Informale, Bacci declina in maniera autonoma la sua idea di spazialismo, per cui luce e spazio sono evocati da esplosioni di colore e dirompente energia sulla tela. Negli anni ’50 l’artista inizia a comprendere il potenziale e la forza generatrice del colore ed ha un’intuizione: la sostanza, prima informe, assume una figurazione nell’istante in cui la materia cromatica incontra la dimensione della tela.
Come possiamo difatti desumere dal titolo di questa serie di opere, ciò che avviene sulla tela è un vero e proprio accadimento che è in continua evoluzione e si accresce dinnanzi ai nostri stessi occhi, ogni qualvolta lo osserviamo.
I colori impiegati sono caratteristici e facilmente riconducibili a questo preciso periodo di produzione artistica di Bacci: estremamente irruenti, sono estratti direttamente dalle sfumature cromatiche della terra e del cielo, cui talvolta vengono aggiunte delle sabbie mediante desaturazione. A partire dal colore, utilizzato come materia prima in grado di evocare luce e spazio, vengono così costruite nuove dimensioni attraverso la pittura e nuove forme che si sviluppano in un continuo movimento circolare pluridirezionale.

Trovano infine posto le opere della sperimentazione degli anni Sessanta e Settanta e le Carte bruciate, costellazioni di corpi neri ottenute dalla trasformazione della carta mediante il fuoco.
L’esposizione chiude con un invito a confrontare il Giudizio finale (1730-1735) di Giambattista Tiepolo con Avvenimento #31-A (Esplosione) del 1956, nell’intento di omaggiare la tradizione pittorica veneziana da cui Bacci è stato profondamente influenzato sin dagli anni di formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.

La mostra sarà visitabile fino al 18 settembre 2023 e durante questi mesi di apertura il pubblico potrà prendere parte a diversi appuntamenti esclusivi gratuiti, collegati alla monografica di Edmondo Bacci.

 


L’Arte Contemporanea conquista Palazzo Strozzi

È in corso a Palazzo Strozzi “Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye”, la mostra che celebra i trent’anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
Affidata alla curatela di Arturo Galansino, la rassegna propone un percorso alla scoperta di oltre 70 opere dei più importanti artisti contemporanei italiani e internazionali: con più di 50 artisti provenienti da tutto il mondo, viene indagata l’evoluzione variegata dell’arte contemporanea nel corso degli ultimi tre decenni, in rapporto con la società tra pittura, scultura, installazione, fotografia e video.

L’esposizione si apre nel cortile rinascimentale con un razzo proiettato verso il cielo di Firenze: la scultura site-specific di Goshka Macuga, alta 15 metri, è intitolata GONOGO e simbolicamente invita i visitatori a guardare verso il cielo e a raggiungere le stelle, in particolare il firmamento dell’arte contemporanea globale degli ultimi decenni.
Nel percorso della mostra si segnalano grandi opere di artisti come Damien Hirst (“Love Is Great”, 1994), Anish Kapoor (“1000 Names”, 1983) e Sarah Lucas, accompagnate da un’ampia selezione di lavori di Maurizio Cattelan, centrale per un’esplorazione dell’arte italiana unitamente ad artiste come Paola Pivi e Lara Favaretto.
In parallelo si snodano sezioni dedicate al tema dell’identità e della denuncia politica, affrontando argomenti come la fragilità e l’alienazione, le discriminazioni razziali e di genere, la relazione tra collettività e individualità, con le opere di Barbara Kruger, Shirin Neshat, accompagnate da un’iconica collezione di fotografie in bianco e nero di Cindy Sherman e dall’autoritratto in cera, grasso, capelli ed intestino animale (“Self-portrait”, 1993) di Pawel Althamer.
A seguire troviamo la perlustrazione della ricerca pittorica attraverso dipinti di artisti come Lynette Yiadom-Boakye che si relazionano sul corpo ed infine conclude la ricognizione una rassegna di video arte presentata nella Strozzina con opere manifesto di artisti quali William Kentridge, presente con “History of Main Complaint” (1996), Douglas Gordon e Philippe Parreno, con la celebre videoinstallazione “Zidane”.

È il riferimento alle stelle, presente già a partire dal titolo, a guidare il visitatore lungo la rassegna: il viaggio intergalattico nel cosmo dell’arte Contemporanea si sviluppa a partire da ciascuna singola stella, ovvero opera d’arte che brilla di luce propria, per poi considerare le costellazioni nel loro significato d’insieme e riflettere sul presente e sul futuro dell’arte, su quali saranno le evoluzioni prossime nella sperimentazione di nuovi linguaggi artistici, talvolta potenzialmente provocatori, in costante dialogo tra loro.

La mostra è promossa ed organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e nasce proprio con la volontà di creare una piattaforma in cui stimolare accessibilità, sperimentazione e partecipazione in cui alle opere della collezione ed alle nuove produzioni realizzate per l’occasione si unisce un ampio programma di attività e progetti con gli artisti protagonisti di talk e workshop per coinvolgere il pubblico fino al 18 giugno 2023.

 


Il collezionista non è tassato sulla vendita delle opere d’arte

di Umberto Zagarese

 

Con l’ordinanza dell’8 marzo 2023, i Giudici della Corte di Cassazione hanno stabilito che il collezionista di opere d’arte non è soggetto ad alcun obbligo dichiarativo né di versamento delle imposte, in caso di cessione delle sue opere.

La Cassazione, rifacendosi alle norme del nostro ordinamento in materia di imposte sul reddito delle persone fisiche, di imposta sul valore aggiunto e sui principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea sui medesimi argomenti, afferma che la cessione di una o più opere d’arte può far emergere una plusvalenza tassabile in capo al cessionario solo se quest’ultimo viene identificato come mercante d’arte o speculatore occasionale.

Il mercante d’arte è colui che professionalmente e abitualmente, anche in assenza di un’organizzazione di tipo imprenditoriale, esercita il commercio delle opere d’arte con il fine ultimo di trarne un profitto. Mentre, lo speculatore occasionale viene identificato dai Giudici come quel soggetto che acquista occasionalmente opere d’arte al fine di rivenderle e conseguire un utile.

Il collezionista invece, secondo la Corte di Cassazione, è colui che acquista le opere d’arte per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l’opera, senza l’intento di rivenderla generando una plusvalenza poiché il suo interesse è “rivolto non tanto al valore economico della res (opera) quanto a quello estetico-culturale, per il piacere che possedere l’opera genera, per l’interesse all’arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”. Partendo da questi presupposti, una eventuale cessione delle opere d’arte, non determinerebbe in capo al cedente l’obbligo di dichiarare la vendita in sede di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, né di corrispondere le imposte sulla “plusvalenza” potenzialmente realizzata.

La pronuncia della Cassazione, dunque, è di rilevante importanza, in quanto definisce chiaramente i principi in base ai quali la cessione di opere d’arte (e di altri beni oggetto di collezioni) non è tassata, evitando inutili contenziosi in futuro con l’Amministrazione Finanziaria.

Da ultimo vogliamo ricordare che il tema della tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di opere d’arte effettuate da collezionisti privati, è contenuto nel disegno di legge di delega al Governo della riforma del sistema fiscale. Ci auguriamo che anche il legislatore si allinei all’orientamento della Corte di Cassazione che ha in via definitiva chiarito tale fattispecie.