Padova in viaggio tra Medioevo e Contemporaneità: com'è riuscito l'uomo a trarre in inganno l'occhio nei secoli?

In occasione della ricorrenza degli 800 anni dalla fondazione dell’Università degli Studi di Padova, Fondazione Cariparo e l’Ateneo hanno allestito a Palazzo del Monte di Pietà la nuova mostra L’occhio in gioco. Percezioni, impressioni e illusioni nell’arte dal Medioevo alla Contemporaneità.

L’occhio è il protagonista indiscusso dell’esposizione, che esplora le ricerche artistiche ed i molteplici modi in cui, dal Medioevo ad oggi, il senso della vista è stato raggirato, beffato, illuso e consente allo spettatore di comprendere quali siano le ragioni psicologiche sottostanti agli effetti ottici provocati dalle opere: l’arte funge quindi da mediatrice, favorendo l’avvicinamento agli aspetti concettuali che governano i fenomeni percettivi coinvolti.

Un viaggio tra Medioevo e contemporaneità, alla scoperta dei seducenti espedienti prospettici, artifici, effetti ottici, stratagemmi e giochi di prestigio con cui l’uomo è riuscito a trarre in inganno l’occhio: in esposizione anche una serie di inestimabili documenti storici come volumi antichi, oggetti scientifici provenienti da musei internazionali e dalla città di Padova, fotografie e pubblicazioni dedicate alla percezione, al movimento, allo studio della storia del colore.

La decisione di seguire un andamento tematico piuttosto che cronologico lungo il percorso espositivo, consente di evidenziare, in ogni sala, i punti di contatto e le influenze reciproche tra epoche diverse, ovvero le congenialità che hanno unito tra loro filosofi, scienziati, artisti anche molto lontani nel tempo.

La prima sezione della mostra è affidata alla curatela di Luca Massimo Barbero ed indaga la rappresentazione del Cosmo tra Medioevo e primo Rinascimento, attraverso il ricorso a due elementi essenziali, ovvero il colore ed il cerchio: sono presenti studi sul cosmo risalenti al ‘600-‘700, mappe celesti e sfere armillari insieme ad opere come quella di Tomás Saraceno “Zonal Harmonic 2N 60/10”.

La visita prosegue spaziando fino all’Optical Art, movimento di arte astratta nato agli inizi degli anni Sessanta del Novecento grazie al suo fondatore Victor Vasarely: vengono esplorati i limiti della visione umana, riuscendo a creare potenti inganni visivi capaci di indurre ad un’instabilità percettiva con il massimo coinvolgimento per l’osservatore. Le opere si basano su fondamenti scientifici relativi allo studio della percezione visiva, servendosi di prospettive illusorie e patterns che generano effetti tridimensionali e l’illusione del movimento.

In questo modo cambia radicalmente il ruolo dello spettatore: per la prima volta l’arte invita ad assumere una posizione non frontale ed il movimento diventa quello della persona rispetto all’opera, il che lo rende parte attiva del processo di percezione.

La seconda parte dell’esposizione, a cura di Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università degli Studi di Padova ed intitolata “La scuola patavina di psicologia della percezione, il Gruppo N e l’arte programmata”, è volta a rendere omaggio a uno dei maggiori movimenti artistici del Novecento, il Gruppo N, nato nei primi anni ’60 fra le mura dell’Ateneo cittadino. Si tratta di una monografia che mette in evidenza il labile confine tra scienza ed arte nella città di Galileo, dove la tradizione di studi e sperimentazioni condotte nel campo della percezione a partire dalla fondazione del Laboratorio di Psicologia sperimentale nel 1919, ha avuto uno straordinario impatto innovativo contribuendo a stimolare un ambiente artistico-culturale d’avanguardia, proiettando la città ed i suoi artisti sulla scena internazionale.

La mostra non si conclude all’interno di Palazzo del Monte di Pietà ma invade la città con cinque installazioni: una grande spirale di 5 metri di Marina Apollonio trova collocazione nel cortile antico del Bo, mentre all’interno del Museo di Storia della Medicina di Padova (MUSME) è stata invece allestita un’opera di Alberto Biasi dal titolo “Tu sei”, grazie alla quale lo spettatore si troverà al cospetto della moltiplicazione variopinta della propria ombra. Per concludere, l’Orto Botanico di Padova ospita le illusioni ottiche create da Edoardo Landi attraverso tre opere: Quadrato Cinevisuale e due Ipercubi virtuali.

Se siete curiosi di immergervi in specchi deformanti, inganni prospettici e giochi cromatici, non perdetevi questa straordinaria rassegna che sarà possibile visitare fino al 26 febbraio 2023.

 


Padova ospita la mostra sulle origini del Futurismo

Le sale di Palazzo Zabarella a Padova hanno aperto le porte alla mostra “Futurismo. La nascita dell’avanguardia 1910-1915”, con la curatela di Fabio Benzi, Francesco Leone e Fernando Mazzocca. Si tratta di oltre 100 opere d’eccezione, alcune delle quali inedite o esposte raramente, provenienti da gallerie, musei e collezioni internazionali, per un totale di oltre 45 prestatori differenti.

La mostra si prefigge di indagare un ristretto arco cronologico di attività artistica, compreso tra il 1910 ed il 1915: due date estremamente significative, in quanto la prima segna l’anno di fondazione del movimento pittorico, mentre la seconda coincide con la pubblicazione del Manifesto della Ricostruzione Futurista dell’Universo, nonché con l’ingresso in guerra dell’Italia.

Nelle opere è evidente la rigida abolizione della prospettiva tradizionale che privilegia la moltiplicazione dei punti di vista e la compenetrazione di piani e volumi per esprimere il dinamico interagire del soggetto con lo spazio circostante, nell’ottica di una perpetua ricerca del dinamismo.

Tuttavia, non può esservi rivoluzione priva di legami con il passato: ciò si manifesta nell’esplicito debito nei confronti di Simbolismo e Divisionismo, i cui tratti sconnessi fungono da punto di partenza per la successiva frammentazione della materia, che la rende oltremodo vibrante ed aggressiva. Per rendere al meglio l’idea del moto e della velocità, è difatti frequente l’utilizzo di linee-forza pluridirezionali: le stesse sono percepibili ma non visibili, così come la simultaneità che coinvolge suono, materia ed immagine.

“Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente.” Da questo passaggio saliente del Manifesto della Ricostruzione futurista dell’Universo, si evince che il Futurismo si pone come elemento di rottura dagli schemi del passato, animato da un fervente spirito rivoluzionario di rinnovamento: dinamismo, simultaneità, tridimensionalità e polimaterismo sono solo alcune delle caratteristiche chiave dell’Avanguardia, che potrete esplorare fino al 26 febbraio 2023 durante la rassegna di questo breve ma intenso periodo di rivoluzione artistica.

 


Alex Katz torna in Italia dopo due decenni

Al Mart di Rovereto apre la prima personale di Alex Katz nel nostro Paese dopo due decenni: si tratta di quaranta grandi tele, di cui la maggioranza sono ritratti, cui si affiancano paesaggi in un percorso ricco di colori realizzato tra gli anni Novanta e oggi.

La sua opera attualmente vanta 250 personali e 500 collettive in settant’anni di attività espositiva, che lo rendono uno tra i maggiori artisti americani viventi: in questo articolo parliamo di una delle più importanti retrospettive mai realizzate in Italia, che espone al pubblico dal 15 maggio al 18 settembre 2022.

Alex Katz condensa nelle sue opere gli insegnamenti provenienti dall’Espressionismo, dalla Pop Art e dal Minimalismo, rielaborando i riferimenti della cultura di massa americana e celebrando la poesia della vita e di un mondo fatto di affetti e luoghi del cuore: è attorno a queste immagini che ruota la mostra, intitolata per l’appunto La Vita Dolce.

A cura di Denis Isaia, la mostra testimonia l’attenzione di Katz ai temi del suo tempo, come ad esempio la crescente sensibilità alla moda: si concentra su vestiti, accessori e pettinature, ma ciò che maggiormente ci colpisce è l’esemplare rappresentazione degli sguardi, estremamente comunicativi e misteriosi allo stesso tempo.

Nei ritratti i soggetti spiccano in scene tratte dalla vita quotidiana, trovandosi spesso in netto contrasto cromatico con le brillanti tinte impiegate nello sfondo: forme semplici, colori vivaci, nell’intento primario dell’artista di contrapporre l’imperturbabilità di un tempo ideale in cui tutto rimane immobile ed immutato, alla frenesia del mondo del lavoro e della società newyorkese a lui contemporanea.

Anche i paesaggi seguono il medesimo filone narrativo, rappresentando il sentimento di pace legato a luoghi cari a Katz come la sua New York e l’amato Maine, dove in gioventù trascorse diversi mesi ogni anno ed ebbe modo di sperimentare la pittura dal vero, fondamentale nello sviluppo della sua tecnica pittorica e che oggigiorno si rivela un punto fermo delle sue pratiche.

Le opere sottolineano il voluto disimpegno politico e sociale dell’artista e la presa di distanza da un’ideologia o riflessione filosofica: non si vincola a veicolare contenuti o messaggi di un qualsivoglia genere, bensì registra la mera realtà sulla tela, nel piacere fine a sé stesso di rappresentarla nella sua primordiale essenza, trasfigurandola in mondi che appaiano quanto più amabili e desiderabili.

Quiete, ozio e contemplazione: ad una prima analisi è questa la vita rappresentata da Katz, dietro alla quale tuttavia si nasconde un approfondito studio delle proporzioni e degli accoppiamenti cromatici, che nulla lascia al caso.

 


L’arte sostenibile in mostra alla Biennale di Venezia 2022

L’espressione “Sustainable art” racchiude molteplici concetti chiave, tra cui ecologia, giustizia sociale, riciclo, cambiamenti climatici e salvaguardia della natura.

Il concetto di sostenibilità ultimamente si sta delineando come un vero e proprio mantra sociale e culturale e anche il sistema dell’arte contemporanea non è rimasto indifferente all’urgenza di agire in difesa del Pianeta: anche l’arte può difatti divenire fonte di sensibilizzazione collettiva e smuovere le coscienze divulgando tematiche legate alle grandi sfide globali, in linea con i diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile promossi dall’ONU.

È necessario che gli artisti prendano progressivamente consapevolezza delle potenzialità del mezzo artistico quale strumento di diffusione e promozione di uno sviluppo sostenibile e si impegnino sempre più in questa direzione, producendo opere che al contempo si interroghino sulle problematiche ambientali.

Tra i materiali utilizzati vi possono essere quelli di riciclo, non tossici, con l’obiettivo di arricchire e trasformare lo spazio in cui le opere d’arte si inseriscono, senza snaturarne le caratteristiche.

A tal proposito vi segnaliamo la mostra di Chun Kwang Young, artista sudcoreano classe 1944, intitolata “Times Reimagined”: organizzata a Venezia presso Palazzo Contarini Polignac, l’esposizione affronta le tematiche della biodiversità, sostenibilità e cambiamento climatico.

Delineandosi come evento collaterale della Biennale d’Arte di Venezia, la mostra presenta 40 rilievi di Hanji, carta tradizionale coreana realizzata a mano, prodotta utilizzando la corteccia degli alberi di gelso. È un materiale ecosostenibile, con una longevità superiore ai 1300 anni: nel momento in cui si consuma, può essere riciclato e tornare rapidamente in natura.

Per produrre le sue installazioni, Young ha disassemblato libri di scarto fatti di Hanji invecchiata più di cento anni, realizzando dei pacchettini a forma triangolare ed in seguito aggregandoli per dargli una nuova vita: la maggior parte della carta impiegata ha avuto dunque una vita precedente sotto forma di libro, è stata toccata da numerose persone e racchiude in sé una storia.

Il coinvolgimento emotivo è caratteristico del linguaggio artistico di Chun Kwang Young, il quale fa riflettere lo spettatore sulla distruzione della natura a causa del progresso tecnologico e della brama di profitto: dalla scultura a forma di cuore che soffre per l’inquinamento atmosferico, a un pianeta ruvido e all’apparenza inospitale per la vita umana, il filo conduttore ci riporta al tema dell’interconnessione tra esseri viventi, requisito imprescindibile per la sopravvivenza di tutte le specie.

Dal 23 aprile al 27 novembre 2022 sarà possibile visitare la mostra, che ospita la Hanji House, struttura architettonica site specific progettata dall’architetto Stefano Boeri.

 


Cosa vedere a Venezia durante la Biennale d’Arte 2022: due mostre da non perdere

Curata da Caroline Bourgeois, dal 27 marzo 2022 all’8 gennaio 2023 è in corso a Palazzo Grassi “Open-end”, un’importante mostra personale dedicata a Marlene Dumas: più di cento opere, una selezione di dipinti e disegni realizzati dal 1984 a oggi, provenienti dalla Collezione Pinault, da musei internazionali e collezioni private.

Sudafricana, classe 1953: Marlene Dumas cresce e studia durante il regime dell’apartheid, condizione che ha profondamente plasmato la sua poetica e la cui influenza è tuttora visibile nelle sue opere estremamente provocanti; tra le tematiche maggiormente ricorrenti, in quanto profondamente legate alla storia personale dell’artista, vi sono infatti le questioni razziali e di genere, accompagnate da tematiche più astratte come l’amore, la sofferenza, le dipendenze, la passione o i tabù.
Insieme alle cause sociali, un altro punto di interesse per l’artista è rappresentato dalla poesia: non stupisce dunque di trovare una stanza riservata a Baudelaire, ritratto accanto a Jeanne Duval e ad alcuni dipinti ispirati ai poemi de Lo spleen di Parigi.

La mostra propone dunque una visione complessiva del percorso dell’artista, la cui produzione si concentra principalmente sulla rappresentazione dei corpi umani, colti in estasi o in sofferenza, vitali o trapassati, investiti dalle emozioni più intense, privati dunque di filtri o inibizioni.
L’artista trae ispirazione da immagini provenienti da giornali, riviste, fotogrammi cinematografici o polaroid scattate personalmente: rielaborate successivamente sulla tela, lasciano spazio alla libera interpretazione.
A ciò si ricollega la scelta del titolo della mostra, ovvero “Open-end”: due parole discordanti che racchiudono parte della riflessione artistica, come rivela Dumas stessa: “ho pensato alla parola ‘open’, aperto, e al modo in cui i miei dipinti siano aperti a diverse interpretazioni. Nelle mie opere lo spettatore vede immediatamente ciò che ho dipinto, ma non ne conosce ancora il significato. Dove comincia l’opera non è dove termina.”

Nell’ambito del programma di monografiche dedicate agli artisti più influenti nel panorama artistico contemporaneo, segnaliamo anche una grande mostra retrospettiva di Anish Kapoor che esordisce alle Gallerie dell’Accademia e si conclude a Palazzo Manfrin: curata da Taco Dibbits, la duplice esposizione presenta una sequenza di lavori fondamentali, dalle sculture degli esordi eseguite col pigmento, come 1000 Names, alle opere sul vuoto, fino ad un nuovo corpo di sculture inedite create con il Kapoor Black, un materiale nanotecnologico innovativo, una sostanza talmente scura da assorbire più del 99,9% della luce visibile, tale da smaterializzare gli oggetti rendendoli impercettibili all’occhio umano.

Accanto al nero, il colore rosso domina la scena: oltre a sottolineare le radici indù dell’artista, contribuisce a creare un qualcosa di vitale e terrificante allo stesso tempo, dove sangue, carne e materia si mescolano in un impasto violento: i suoi iconici lavori, come Shooting into the corner, sebbene realizzati in passato si rivelano piuttosto attuali, in quanto evocano gli scenari drammatici della guerra come quella in corso, impressionando lo spettatore.
Emblematica dell’artista è la dimensione partecipativa delle sue opere: lo spettatore è infatti chiamato ad osservare, sperimentare e dunque reinterpretare, facendosi guidare dalla propria emotività. Le opere di Anish Kapoor rifuggono difatti ogni definizione tradizionale, prestandosi ad assumere significati sorprendentemente nuovi che talvolta capovolgono le aspettative del pubblico.

Dal 20 aprile al 9 ottobre 2022 sarà possibile visitare la mostra, in concomitanza con la cinquantanovesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.

 


La Biennale a Venezia: i parallelismi nella mostra Rainer-Vedova

Dal 23 aprile al 27 novembre 2022 si svolgerà a Venezia la cinquantanovesima edizione della Biennale Arte: in questi mesi la Serenissima ospiterà anche diverse mostre, tra cui una doppia esposizione intitolata “Rainer-Vedova: Ora”, organizzata alle Zattere presso la fondazione Emilio e Annabianca Vedova, ex Magazzini del Sale.

La mostra costituisce il secondo capitolo di un accostamento iniziato nel 2020 a Baden bei Wien nella sede dell’Arnulf Rainer Museum e si prefigge di testimoniare il dialogo tra i due artisti, entrambi autodidatti e legati da una duratura amicizia, sopravvissuta anche al divario generazionale e formativo: entrambi turbati emotivamente dall’esperienza della guerra, condividono un’umanità sensibile che approfondisce l’indissolubile rapporto tra vita e morte.

I due artisti comunicano tramite la propria arte un malessere tanto individuale, quanto collettivo, che coinvolge l’intera società: animati da uno spirito ribelle e dinamico, non ebbero mai paura di sperimentare, divenendo così interpreti a livello mondiale dell’action painting.

L’astrazione gestuale fu infatti per entrambi gli autori la forma espressiva maggiormente adatta ad affrontare tematiche di tipo sociale e politico, emblematiche del coinvolgimento e dell’impegno profuso nel denunciare gli orrori e le contraddizioni della società contemporanea: l’attitudine decisamente partecipativa della loro arte, fu spesso generatrice di dibattiti accesi e combattuti.

La materia ed il gesto, nervoso e vibrante, risultano piuttosto evidenti nelle due collezioni: accompagnati da ampie pennellate ricche di colore e da un segno sempre più energico, inscenano la fugacità dell’esistenza umana sulla terra ed il travaglio emotivo che ne deriva, portando così in vita un tema mestamente attuale, visto il recente ritorno del demone della guerra.

L’esposizione Rainer-Vedova ripercorre dunque la vita dei due artisti attraverso le loro opere più rappresentative e che hanno significativamente segnato il panorama artistico italiano del secondo dopoguerra: dal 23 aprile al 30 ottobre 2022 sarà possibile visitare la mostra, al tempo stesso divenuta occasione per annunciare l’inaugurazione del museo intitolato a Emilio Vedova, che avverrà entro la fine del prossimo anno.

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