Il caso Koons e il diritto di disconoscimento di un'opera

di Avv. Michela Zanetti

 

Con un’importante sentenza, il giudice italiano si è espresso sui limiti dell’esercizio del diritto di disconoscimento di un’opera autoriale, sottraendolo definitivamente al libero arbitrio dell’artista.

Il caso

Nell’ottobre del 2021, la Corte d’Appello di Milano, confermando i principi già enunciati dal Tribunale di primo grado nel novembre 2019, ha definito i confini entro cui un artista può esercitare la propria facoltà di disconoscere un’opera d’arte, dichiarando l’imprescindibile necessità che tale diritto venga bilanciato con gli eventuali diritti acquisiti dai terzi. In questo modo, la Corte ha sottratto al libero arbitrio dell’artista la possibilità di esercitare il disconoscimento di un’opera d’arte, tutelando la certezza dei rapporti giuridici coinvolti.

Nel caso di specie, oggetto del contendere era la piccola scultura in ceramica denominata The Serpents n. 2/3, appartenente alla serie Banality dell’artista americano Jeff Koons, la cui realizzazione era stata commissionata nel 1988 ad una azienda italiana.

Nel 1997 veniva instaurata, davanti alla Southern District Court di New York, la prima vicenda giudiziaria riguardante questa scultura: Koons era, infatti, riuscito a bloccarne la vendita all’asta da Christie’s, sostenendo che si trattasse di un’opera contraffatta. L’esito del giudizio americano, tuttavia, non fu favorevole per l’artista, le cui pretese vennero fermamente respinte dalla Corte.

Ciononostante, Koons continuò, negli anni, ad ostacolare la circolazione dell’opera, sino a quando fu citato in giudizio davanti ai giudici milanesi. L’origine del contenzioso risale alla fine del 2014, quando un gallerista italiano, interessato all’acquisto della scultura, si rivolse direttamente a Koons per riceverne l’autentica. Quest’ultimo, senza esitazione, negò il rilascio della dichiarazione di autenticità, affermando, questa volta, non tanto che si trattasse di un’opera contraffatta, bensì piuttosto di un prototipo insoddisfacente.

Il proprietario dell’opera, avendo visto sfumare per l’ennesima volta una potenziale vendita, citò in giudizio l’artista americano per il risarcimento di tutti i danni subìti in conseguenza delle dichiarazioni rese in merito a The Serpents 2/3. Anche questa volta, Jeff Koons ha visto respinte le proprie richieste.

Con questa sentenza, la Corte d’Appello di Milano ha assunto una netta posizione rispetto ad alcuni ricorrenti quesiti in tema di disconoscimento di un’opera e dei relativi limiti.

Può un’artista disconoscere la propria opera?

Sì. Secondo la tesi giurisprudenziale maggioritaria, il diritto di disconoscere un’opera autoriale altro non è se non una declinazione del diritto morale d’autore previsto dall’articolo 20 della legge sul diritto d’autore: dalla norma, oltre alla facoltà positiva dell’artista di identificarsi e rivelarsi autore di un’opera di carattere creativo e di rivendicarne la paternità, si ricava inoltre la corrispondente facoltà “negativa” di disconoscerne la paternità, anche successivamente alla sua circolazione sul mercato.

Ci sono dei limiti al disconoscimento?

Tale tutela non può certo essere illimitata, anzi, deve essere contenuta entro limiti ben precisi che consentano la protezione anche degli eventuali ulteriori interessi coinvolti. Sappiamo, infatti, che l’autenticità di un’opera – e, quindi, la paternità riconducibile ad un determinato artista – è elemento cruciale di un contratto di compravendita, da cui dipende la volontà stessa dell’acquirente di procedere con l’acquisto e, senza dubbio, la determinazione del prezzo. È evidente che, nel caso in cui un’opera già circolante sul mercato venga disconosciuta, il proprietario rischia di subire un danno, derivante dalla diminuzione di valore del suo acquisto e dalla perdita di perde potenziali ulteriori rivendite. Diventa, quindi, indispensabile sottrarre all’alveo dell’arbitrarietà il diritto di disconoscimento, individuando dei limiti precisi entro cui tale facoltà possa essere esercitata.

Quali sono questi limiti?

Un artista non potrà ritirare la propria opera dal commercio se non in presenza di gravi ragioni morali e di un conseguente pregiudizio oggettivo alla sua reputazione ed all’immagine.

Inoltre, un artista non potrà chiedere la soppressione di un’opera o impedirne l’esecuzione in forza di intervenute modifiche che egli stesso abbia accettato e conosciuto.

In conclusione…

Alla luce di queste considerazioni, il Tribunale (confermato poi dalla Corte in appello) ha ritenuto che l’artista non avesse alcun diritto di disconoscere l’opera The Serpents 2/3, mancando la prova del carattere lesivo della stessa per la sua reputazione e non sussistendo alcuna grave ragione morale tale da giustificarne il ritiro dal commercio. Non solo: il giudice ha ritenuto che l’artista avesse accettato la divulgazione dell’opera, non avendo fatto nulla per distruggerla o impedirne la circolazione.

 


Dicono di noi: Milano Finanza intervista il Presidente della società, il dott. Umberto Zagarese

di Gaia Grassi

 

Nel mondo dei servizi professionali nell'ambito del mercato dell'arte esiste una figura, quella dell'art consultant, che fornisce una consulenza specialistica a 360° ai propri clienti, suggerendo opere da acquistare con il fine di garantire investimenti economici, ma tenendo in considerazione anche la passione del collezionista e la qualità degli artisti. Oggi questo professionista si appoggia spesso a una rete di collaboratori in campo progettuale, gestionale, amministrativo e, non da ultimo, legale e di marketing, come spiega Vera Canevazzi nel suo libro Professione Art Consultant (Franco Angeli). Il vantaggio per le aziende? Avere un referente unico per le diverse sfere di competenza e necessità. «In un momento come questo, in cui è tangibile la voglia di ripresa nel mercato, è importante porsi con una proposta innovativa capace di garantire servizi a tutto tondo nel mondo dell'arte antica, moderna e contemporanea», spiega Umberto Zagarese, presidente di One Stop Art, società nata a Padova a fine 2021 e che offre consulenza strategica per progetti culturali e assistenza su aspetti legali e fiscali, art advisory, valutazioni, conservazione, logistica e assicurazioni. «L'input che ci ha fatto partire è stato proprio il riscontro dell'assenza in questo mondo di un'unica entità in grado di fornire servizi specializzati. Esistono singoli professionisti che lavorano in network con altri, ma non esiste un'aggregazione degli stessi che possa offrire un servizio chiavi in mano. Il nome scelto per la società - che ha competenze anche in materia di musica, letteratura, cinema e teatro -esprime proprio questo concetto». E se, qualche anno fa, questi servizi interessavano soprattutto i grandi alberghi o i gruppi bancari, oggi qualcosa è cambiato. «I nostri target sono soggetti pubblici e privati: la dimensione non ha alcuna rilevanza», continua Zagarese. «La nostra sede è a Padova, dove risiede la maggioranza dei soci, ma non abbiamo limiti geografici entro i quali operare, abbiamo relazioni e collaborazioni sia nazionali sia internazionali». Entrando nello specifico, sono tre le macroaree nelle quali si possono riassumere i servizi offerti da una società come One Stop Art: Art consulting, Art collection management e Tax & Legal. Ciò consente di spaziare dall'art advisory, per un supporto qualitativo e quantitativo nella compravendita, alla ricerca di autentiche, fino alla consulenza strategica su progetti culturali di privati o imprese che vogliano dar vita a nuove fondazioni, musei d'impresa, case d'asta o altri soggetti profit o non profit, mettendo in campo un'offerta di servizi completa e integrata, costruita sulle tre fasi di visione, pianificazione e implementazione. Importante anche il supporto per la gestione, ordinaria e straordinaria, di opere e collezioni d'arte, che permette di conservare al meglio i patrimoni artistici, di movimentarli a livello nazionale e internazionale, di assicurarli tramite idonee polizze fine art o di digitalizzarli attraverso i più avanzati tools tecnologici. Last but not least, per tutti gli operatori del mercato — collezionisti, galleristi, case d'asta, artisti, privati, imprese, enti pubblici e family office — una consulenza altamente personalizzata nelle problematiche legali e fiscali correlate al mondo dell'arte. «Tra i tanti servizi offerti, quelli più richiesti sono l'art advisory nella compravendita di opere d'arte e nella creazione di collezioni, la consulenza nella divisione delle opere per questioni ereditarie, le valutazioni, la conservazione e il restauro delle stesse. Non mancano richieste per una consulenza strategica sulla fattibilità di progetti culturali più strutturati». (riproduzione riservata)

 


La Successione e la Donazione delle Opere d'Arte

di Umberto Zagarese

 

Il trasferimento di un’opera d’arte per via ereditaria è soggetto ad imposta di successione determinabile mediante l’applicazione di un’aliquota variabile, ad un valore imponibile che, secondo le disposizioni del Testo Unico 346/90, corrisponde al valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione; la definizione di valore venale può essere considerata una declinazione terminologica del valore di mercato e pertanto non distante da quest’ultimo. Quanto alle aliquote, di seguito viene riportata una tabella di sintesi:

“Beneficiari” Aliquota Franchigie
Coniuge e parente in linea retta 4% 1.000.000
Fratelli e sorelle 6% 100.000
Altri parenti fino al quarto grado e affini fino al terzo grado 6% N/A
Altri soggetti 8% N/A

Sono poi previste dalla normativa alcune regole speciali:

la prima relativa alla presunzione di esistenza nell’attivo ereditario di “denaro, gioielli e mobilia” che comporta un aumento del valore globale netto imponibile del dieci per cento salvo la possibilità di redazione di un inventario analitico che dimostri l’assenza dei predetti elementi o, nel caso in cui fossero effettivamente disponibili, il loro valore risulti superiore rispetto a quello determinato con l’applicazione dell’aliquota forfettaria del dieci per cento.

Le opere d’arte rientrano nella categoria di mobilia solo se costituiscono ornamento delle abitazioni, inclusi i beni culturali non sottoposti a vincolo storico-culturale da parte del Ministero dei Beni Culturali ai sensi del Testo Unico 346/90.

Quanto alla fattispecie della donazione, valgono le medesime disposizioni viste per il trasferimento a seguito di successione ad eccezione della non operatività della presunzione di cui si è parlato al punto precedente.

Un ulteriore disposizione particolare riguarda i beni d’arte assoggettati ai vincoli storico-culturali che ne limitano la trasferibilità. In tal caso l’ordinamento riconosce un trattamento favorevole esentando detti beni dalle imposte di successione e donazione, sempre che il vincolo fosse stato rilasciato precedentemente al decesso, o al momento del trasferimento inter vivos (per la donazione) con applicazione però dell’imposta di registro fissa in questo ultimo caso, e che il bene fosse stato accuratamente conservato secondo il decreto di vincolo emesso dal Ministero. L’esenzione dalle imposte di successione e donazione viene appunto garantita solo previo rilascio di apposita certificazione rilasciata ad hoc dalla Soprintendenza delle Belle Arti che ha valutato e apposto il vincolo.

Si ricorda infine che, il collezionista privato che vende con operazioni “isolate” opere artistiche acquisite per successione o donazione non dovrà dichiarare i relativi proventi come redditi d'impresa ai fini Irpef, in quanto viene a mancare il cosiddetto requisito della preordinazione, vale a dire un legame sinallagmatico tra atti d’acquisto e successive vendite. Lo stesso requisito della preordinazione viene a mancare qualora la vendita sia un evento molto distante e non pronosticato al momento dell’acquisto.

 


I musei privati, la loro ascesa e le loro problematiche

di Marco Trevisan

 

A fine 2021 è uscito in Italia il libro “L’inarrestabile ascesa dei musei privati” (ed. Johan & Levi) di Georgina Adams, esperta riconosciuta a livello internazionale di mercato dell’arte, giornalista per il Financial Times e The Art Newspaper, oltre che autrice di molti libri sull’argomento. La Adams precisa che “in questo libro il termine museo privato indica sia uno spazio artistico no-profit aperto al pubblico, fondato da un collezionista, che un museo fondato da un’azienda”. Questi ultimi, sia musei corporate (che ragionano attorno alla storia dell’azienda stessa) che musei brandizzati ospitanti collezioni varie, negli ultimi anni si sono sviluppati in maniera decisa. Basti pensare ai nuovi musei dei magnati francesi Arnault e Pinault – Fondation Louis Vuitton e la Bourse de Commerce – ed in Italia dalla Fondazione Prada a realtà intitolate a collezionisti privati che nella gran parte dei casi sono imprenditori, come la Fondazione Coppola a Vicenza e la Fondazione Carlon a Verona.

Adams spiega che collezionare per sé stessi o decidere di esporre le proprie opere in uno spazio accessibile al pubblico comporta una scelta che a sua volta genererà conseguenze sulla destinazione ultima del patrimonio familiare e sul coinvolgimento o meno degli eredi. Ma ha un impatto anche sul modo di collezionare: una raccolta personale può nascere – e succede spesso – da scelte anche originali ed eccentriche, a volte senza logica; quando un collezionista acquista per uno spazio che verrà aperto al pubblico, cambia punto di vista, cerca consulenze esterne e criteri di selezione.

Sempre la giornalista, in un articolo comparso su Linkiesta il 27 novembre scorso, cita come esempio italiano Luigino Rossi, che lanciò con i fratelli a fine anni ’40 la Rossimoda, e decise all’inizio degli anni ’90 di creare all’interno di Villa Foscarini (da allora Villa Foscarini Rossi) un Museo della Calzatura, esponendo i pezzi più rappresentativi, 1500 modelli di calzature femminili di lusso. Ma il museo ha anche il compito di testimoniare i saperi del territorio, di diffondere la conoscenza della tradizione calzaturiera della Riviera del Brenta e di documentare l’evoluzione del costume e della moda nella seconda metà del Novecento, oltre che mostrare l’importante collezione di arte moderna e contemporanea di Luigino Rossi.

Ma quali sono le motivazioni che spingono questi imprenditori? Molti citano il tema del “restituire valore alla comunità”. Tuttavia nei casi più di impatto mediatico e di investimenti messi in gioco – come per le grandi case di moda citate prima- si tratta anche di operazioni di “branding”. “Un museo privato di proprietà aziendale deve necessariamente avere successo, perché in caso contrario avrebbe un impatto negativo sul marchio”. C’è chi parla anche di voler contribuire al dibattito culturale del proprio tempo, ma pure di voler fare qualcosa per contrapporsi alla sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, o semplicemente per far crescere il valore della propria collezione con operazioni visibili e mirate. L’Italia, a livello di istituzioni, fa poco per lo sviluppo e la valorizzazione dell’arte contemporanea e dei propri artisti, e per qualcuno con delle possibilità finanziarie non resta che sostituirsi ai governi locali offrendo una piattaforma per l’arte, senza contare che un giorno alcune di queste raccolte diventeranno comunque di proprietà pubblica. L’alternativa della donazione all’ente pubblico, con il collezionista ancora in vita, va comunque contro il senso di controllo e fiducia che individui abituati a decidere in autonomia non vogliono perdere.

La sopravvivenza di un museo privato, aziendale o meno, alla morte del fondatore, non è scontata. La prima questione cruciale è il finanziamento del progetto, e non è detto che gli eredi lo vedano di buon occhio o lo possano portare avanti. Può anche verificarsi, al cambiare delle generazioni, un mutamento radicale di gusto. Il rischio è che la raccolta venga dispersa distruggendo l’eredità familiare, ad esempio vendendo i pezzi migliori. Si può anche creare un problema di leadership e visione, venuta a mancare con la dipartita del fondatore. I temi delicati possono essere vari, e per molti musei privati che vedono la luce, ce ne sono sempre altrettanti che devono chiudere i battenti. Le scelte, quindi, di opportunità, strategiche e contenutistiche, devono essere attentamente valutate.