Alex Katz torna in Italia dopo due decenni
Al Mart di Rovereto apre la prima personale di Alex Katz nel nostro Paese dopo due decenni: si tratta di quaranta grandi tele, di cui la maggioranza sono ritratti, cui si affiancano paesaggi in un percorso ricco di colori realizzato tra gli anni Novanta e oggi.
La sua opera attualmente vanta 250 personali e 500 collettive in settant’anni di attività espositiva, che lo rendono uno tra i maggiori artisti americani viventi: in questo articolo parliamo di una delle più importanti retrospettive mai realizzate in Italia, che espone al pubblico dal 15 maggio al 18 settembre 2022.
Alex Katz condensa nelle sue opere gli insegnamenti provenienti dall’Espressionismo, dalla Pop Art e dal Minimalismo, rielaborando i riferimenti della cultura di massa americana e celebrando la poesia della vita e di un mondo fatto di affetti e luoghi del cuore: è attorno a queste immagini che ruota la mostra, intitolata per l’appunto La Vita Dolce.
A cura di Denis Isaia, la mostra testimonia l’attenzione di Katz ai temi del suo tempo, come ad esempio la crescente sensibilità alla moda: si concentra su vestiti, accessori e pettinature, ma ciò che maggiormente ci colpisce è l’esemplare rappresentazione degli sguardi, estremamente comunicativi e misteriosi allo stesso tempo.
Nei ritratti i soggetti spiccano in scene tratte dalla vita quotidiana, trovandosi spesso in netto contrasto cromatico con le brillanti tinte impiegate nello sfondo: forme semplici, colori vivaci, nell’intento primario dell’artista di contrapporre l’imperturbabilità di un tempo ideale in cui tutto rimane immobile ed immutato, alla frenesia del mondo del lavoro e della società newyorkese a lui contemporanea.
Anche i paesaggi seguono il medesimo filone narrativo, rappresentando il sentimento di pace legato a luoghi cari a Katz come la sua New York e l’amato Maine, dove in gioventù trascorse diversi mesi ogni anno ed ebbe modo di sperimentare la pittura dal vero, fondamentale nello sviluppo della sua tecnica pittorica e che oggigiorno si rivela un punto fermo delle sue pratiche.
Le opere sottolineano il voluto disimpegno politico e sociale dell’artista e la presa di distanza da un’ideologia o riflessione filosofica: non si vincola a veicolare contenuti o messaggi di un qualsivoglia genere, bensì registra la mera realtà sulla tela, nel piacere fine a sé stesso di rappresentarla nella sua primordiale essenza, trasfigurandola in mondi che appaiano quanto più amabili e desiderabili.
Quiete, ozio e contemplazione: ad una prima analisi è questa la vita rappresentata da Katz, dietro alla quale tuttavia si nasconde un approfondito studio delle proporzioni e degli accoppiamenti cromatici, che nulla lascia al caso.
La battaglia di Daniel Druet: quando la tecnica porta in Tribunale l’idea creativa
di Avv. Michela Zanetti
La battaglia legale tra lo scultore francese Daniel Druet e l’artista padovano Maurizio Cattelan affascina e spaventa il mondo dell’arte: un caso giudiziario dai grandi numeri - il risarcimento chiesto da Druet è pari a quasi 6 milioni di euro - e dai grandi nomi – sono coinvolti Cattelan per il tramite della Galleria Perrotin e l’istituto La Monnaie de Paris –, destinato a lasciare col fiato sospeso una vasta platea di spettatori per l’attualità delle tematiche coinvolte.
I fatti all’origine della vicenda – la denuncia di Druet contro il sistema dell’arte contemporanea
Daniel Druet e Maurizio Cattelan si conoscono verso la fine degli anni novanta al Musée Grévin, dove l’artista rimane affascinato dalle statue di cera realizzate dallo scultore. Colpito da tanto talento, Cattelan decide di commissionargli una decina di lavori, che sarebbero poi diventati i protagonisti di alcune tra le sue più celebri opere (si pensi alla statua di Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite ne “La Nona Ora” o a quella di Adolf Hitler bambino inginocchiato in “Him”). Tuttavia, mentre la fama di Cattelan cresceva vertiginosamente, il nome di Druet riceveva ben poca gloria: la mano che aveva reso materiale l’idea creativa non otteneva riconoscimenti o menzioni di alcun tipo. In un’intervista di qualche anno fa[1], lo stesso Druet aveva dichiarato che l’ascesa di Cattelan fosse da ascriversi proprio al Papa Giovanni Paolo II e all’Hitler bambino di sua realizzazione. Lo scultore aveva definito “mediocri” le quotazioni dell’artista prima di tali opere e aveva espresso il desiderio di essere quantomeno menzionato come loro realizzatore.
Il fatto di essere stato completamente ignorato aveva spinto Druet, terminata la collaborazione con Cattelan, a realizzare un’opera-denuncia, dove l’artista veniva immortalato nell’atto di sbucare da un uovo. L’uovo era quello del cuculo, noto usurpatore di nidi altrui: con quest’opera ho voluto denunciare un sistema in cui l’artista non fa assolutamente niente, aveva affermato Druet.
La battaglia legale avviata nelle scorse settimane è, quindi, solo l’ultimo atto della denuncia di Druet contro il sistema dell’arte contemporanea, intrinsecamente concettuale, dove tecnica e manualità artigianale rimangono, inevitabilmente, nel retrobottega.
Le questioni di diritto sottese alla battaglia legale
Oggi Druet rivendica davanti ai giudici francesi la paternità di 8 opere di Cattelan. Per farlo, il ceroplasta fa leva sul fatto che le istruzioni inviate dall’artista per la realizzazione delle sculture fossero scarne e poco chiare: ciò avrebbe concesso a Druet di “metterci del suo”, ovvero un apporto creativo, a suo dire, non trascurabile. A ciò si aggiunga che, stando alle dichiarazioni di Perrotin, il rapporto di commissione tra i due non era mai stato regolamentato con un contratto ad hoc.
I giudici d’oltralpe dovranno, quindi, interrogarsi su chi sia realmente il soggetto cui spetta la paternità dell’opera, se l’artista che l’ha “concepita” oppure l’artigiano che l’ha resa materiale, o entrambi, dichiarandoli coautori.
In Italia, la creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale, è il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore (art. 6 LdA). Nel caso in cui l’opera dell’ingegno sia frutto del contributo di più soggetti, viene in applicazione l’art. 10 LdA; la norma prevede che il diritto d’autore appartenga in comune a tutti i coautori qualora il loro contributo alla creazione sia indistinguibile ed inscindibile. In tal caso, le parti indivise si presumono di valore uguale, salvo la prova per iscritto di diverso accordo.
Lo spirito della norma non è certo quello di far condividere all’artista il proprio diritto d’autore su un’opera con tutti i soggetti che hanno contribuito alla sua realizzazione. Per quanto tecnicamente eccellenti, tali interventi non possono conferire alcuna tutela autoriale laddove si traducano in una mera esecuzione dell’opera creata ed ideata dalla mente dell’artista. Tuttavia, la distinzione tra “esecutore” e “artista/ideatore” diventa più controversa laddove l’esecutore conferisca all’opera, durante la sua realizzazione, il proprio apporto creativo.
Sul punto è interessante citare una decisione della Suprema Corte del 2011 con cui è stata riconosciuta la coautorialità tra un maestro vetraio e un artista: gli Ermellini avevano dichiarato il valore non confondibile della mano particolare di un maestro vetraio e dunque del suo apporto creativo, concludendo che la “mano inconfondibile” del maestro ha conferito il suo apporto artistico alla creazione dell’opera come ideata originariamente […]. Essendo i due rapporti analogamente creativi, la Corte aveva in questo caso dato applicazione all’art. 10 l.d.a., definendo i due contributi indistinguibili ed inscindibili. La Corte aveva posto attenzione anche alla peculiarità della materia utilizzata, il “vetro”, deducendo che l’artigianalità del maestro non potesse conferire solo un contributo tecnico alla realizzazione/esecuzione materiale dell’idea altrui: […] Il maestro, in quanto esperto della particolarità di questa medesima, e dunque dei processi chimici, ed delle reazioni che essa subisce nel processo di raffreddamento e di solidificazione, e pertanto della morfologia che essa tipicamente può assumere evocando suggestioni specifiche nel pubblico, in realtà contribuisce, con i necessari adattamenti e momento per momento, alla stessa ideazione, oltre che alla realizzazione, di ciò che viene realizzato […].
Anche la Francia vanta un precedente analogo e, forse, ben più illustre. Nel 1973, infatti, la Suprema Corte aveva riconosciuto allo scultore Richard Guino la co-autorialità delle opere in bronzo realizzate sotto la direzione di Pierre-Auguste Renoir, in forza del contributo artistico ed emotivo che lo scultore aveva apportato a tali opere.
A complicare il quadro della situazione, si aggiunga il fatto che il rapporto di commissione tra Druet e Cattelan non era stato regolamentato in alcun modo. Solo con un contratto scritto entrambi si sarebbero assicurati una maggiore tutela, regolamentando la commissione dell’opera ed i rispettivi diritti.
Conclusioni
Nei primi giorni di luglio i giudici francesi si pronunceranno sulle richieste di Druet. Se lo scultore dovesse riuscire a dimostrare l’inconfondibilità della sua mano ed il proprio apporto creativo nelle opere di Cattelan rischierebbe di vedersi riconosciuto un risarcimento davvero milionario e affonderebbe un duro colpo anche al sistema dell’arte contemporanea, da lui tanto avversato. Non ci resta che attendere la sentenza d’oltralpe, con il fiato sospeso.
[1] Il video integrale dell’intervista a Daniel Druet è pubblicato sul sito Artslife all’indirizzo https://artslife.com/2020/09/24/maurizio-cattelan-daniel-druet-arte-in-italiano/
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Backstage One Stop Art - Il Presidente Umberto Zagarese ci racconta di com’è diventato un collezionista
Cosa la appassiona della sua professione di commercialista?
Mi stimola molto la libera iniziativa e lo sviluppo della creatività nel proporre soluzioni di organizzazione e pianificazione fiscale e societaria anche a livello internazionale. Il rapporto diretto con gli imprenditori, che sono sempre alla ricerca di crescere ed innovare, consente anche a me di trovare soluzioni diverse e originali che tengano conto del cambiamento dei tempi.
Quali sono le domande più ricorrenti che le vengono poste dai suoi amici collezionisti relative all’ambito fiscale?
Le domande più ricorrenti riguardano le problematiche fiscali che derivano dalla divisione di collezioni di opere d’arte che possono nascere sia in vita che per effetto di successioni patrimoniali all’interno delle famiglie, come anche poi la tassazione delle plusvalenze in caso di vendita di opere d’arte oppure il pagamento dell’iva nell’acquisto di opere d’arte se derivano da importazioni piuttosto che da acquisti all’interno dell’Unione Europea.
Si ricorda quando e perché ha deciso di diventare un collezionista?
Mio padre è stato un importante collezionista che ha precorso i tempi e mi ha fatto conoscere circa 40 anni fa artisti molto importanti come Francis Bacon e Marc Chagall. Verso i 30 anni ho iniziato a collezionare opere d’arte in virtù della passione che mi era nata sin dall’adolescenza visitando gli atelier degli artisti e approfondendo il loro pensiero. Ho capito che mi interessava l’arte contemporanea perché rispecchia i cambiamenti del mondo e si collega con la scienza, l’innovazione, la tecnologia e anche l’economia.
Come sceglie le opere d’arte da inserire nella sua collezione? Come si informa a riguardo?
La scelta delle opere d’arte nasce da una naturale inclinazione che ho sviluppato nel tempo per alcuni artisti che ben rappresentano i problemi sociali, culturali e politici degli anni che stiamo vivendo. Sicuramente mi ha molto aiutato la partecipazione alle fiere e alle esposizioni internazionali, nonché l’approfondimento sui libri e sul web. Per quanto riguarda la valutazione delle opere, esistono piattaforme su internet che permettono di conoscere i risultati delle aste a livello internazionale di quasi tutti gli artisti, sia emergenti che storicizzati. Ho iniziato a collezionare artisti moderni come Vedova e Hartung, per poi spostarmi nel contemporaneo con Pintaldi, Cattelan e Ai Weiwei.
Quando compra un’opera, che documenti d’accompagnamento richiede?
Innanzitutto richiedo sempre un condition report, ovvero uno studio tecnico dello stato di conservazione dell’opera, che attesti se l’opera ha subito dei restauri nel tempo e se i materiali che la compongono sono tutti originali.
L’altro documento fondamentale è il certificato di autenticità, che normalmente viene rilasciato dall’artista, se vivente, oppure dall’archivio della fondazione dell’artista se non più vivente.
Per legge le gallerie d’arte devono sempre rilasciare al compratore un certificato di autenticità, le Case d’asta, invece, non sono soggette a questo obbligo.
Quali sono la prima e l’ultima opera ad essere entrate a far parte della sua collezione?
La prima opera che ho acquistato è un olio su carta di Emilio Vedova, mentre l’ultima che è entrata nella mia collezione è una scultura di Maurizio Cattelan. La prima mi ha subito colpito per l’impeto della tecnica pittorica utilizzata dall’artista, sublime rappresentante dell’action painting italiana. La seconda per la genialità delle idee sempre trasgressive e anticonformiste dell’artista padovano.
Qual è la sua più grande soddisfazione?
Sono nato come neofita e ciò che più mi dà soddisfazione è vedermi riconosciuta, da chi invece ha dedicato la vita all’Arte, una naturale sensibilità all’individuazione delle opere di qualità e alla corretta stima del loro valore. Fin da piccolo collezionavo tutto ciò che mi interessava, non per il gusto di possedere ma perché era il mezzo per imparare a conoscere la storia e le caratteristiche degli oggetti.
Qual è la sua opera sogno nel cassetto?
Un dipinto di Marlene Dumas, grandissima artista contemporanea sudafricana di non facile reperibilità sul mercato se non a prezzi oramai inaccessibili.
L’arte sostenibile in mostra alla Biennale di Venezia 2022
L’espressione “Sustainable art” racchiude molteplici concetti chiave, tra cui ecologia, giustizia sociale, riciclo, cambiamenti climatici e salvaguardia della natura.
Il concetto di sostenibilità ultimamente si sta delineando come un vero e proprio mantra sociale e culturale e anche il sistema dell’arte contemporanea non è rimasto indifferente all’urgenza di agire in difesa del Pianeta: anche l’arte può difatti divenire fonte di sensibilizzazione collettiva e smuovere le coscienze divulgando tematiche legate alle grandi sfide globali, in linea con i diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile promossi dall’ONU.
È necessario che gli artisti prendano progressivamente consapevolezza delle potenzialità del mezzo artistico quale strumento di diffusione e promozione di uno sviluppo sostenibile e si impegnino sempre più in questa direzione, producendo opere che al contempo si interroghino sulle problematiche ambientali.
Tra i materiali utilizzati vi possono essere quelli di riciclo, non tossici, con l’obiettivo di arricchire e trasformare lo spazio in cui le opere d’arte si inseriscono, senza snaturarne le caratteristiche.
A tal proposito vi segnaliamo la mostra di Chun Kwang Young, artista sudcoreano classe 1944, intitolata “Times Reimagined”: organizzata a Venezia presso Palazzo Contarini Polignac, l’esposizione affronta le tematiche della biodiversità, sostenibilità e cambiamento climatico.
Delineandosi come evento collaterale della Biennale d’Arte di Venezia, la mostra presenta 40 rilievi di Hanji, carta tradizionale coreana realizzata a mano, prodotta utilizzando la corteccia degli alberi di gelso. È un materiale ecosostenibile, con una longevità superiore ai 1300 anni: nel momento in cui si consuma, può essere riciclato e tornare rapidamente in natura.
Per produrre le sue installazioni, Young ha disassemblato libri di scarto fatti di Hanji invecchiata più di cento anni, realizzando dei pacchettini a forma triangolare ed in seguito aggregandoli per dargli una nuova vita: la maggior parte della carta impiegata ha avuto dunque una vita precedente sotto forma di libro, è stata toccata da numerose persone e racchiude in sé una storia.
Il coinvolgimento emotivo è caratteristico del linguaggio artistico di Chun Kwang Young, il quale fa riflettere lo spettatore sulla distruzione della natura a causa del progresso tecnologico e della brama di profitto: dalla scultura a forma di cuore che soffre per l’inquinamento atmosferico, a un pianeta ruvido e all’apparenza inospitale per la vita umana, il filo conduttore ci riporta al tema dell’interconnessione tra esseri viventi, requisito imprescindibile per la sopravvivenza di tutte le specie.
Dal 23 aprile al 27 novembre 2022 sarà possibile visitare la mostra, che ospita la Hanji House, struttura architettonica site specific progettata dall’architetto Stefano Boeri.
Dicono di noi: Artribune intervista i fondatori della società
di Antonio Mirabelli
Una nuova società fa il suo ingresso nel mondo dell’Art Consulting System: One Stop Art, di base a Padova ma con forte vocazione internazionale, si propone di fornire servizi di consulenza dedicati agli operatori del mercato dell’arte – collezionisti, galleristi, case d’asta, artisti, privati, imprese, enti pubblici e family office – al fine di supportare la gestione di diverse procedure tecniche legate all’arte e alle collezioni e che, spesso, necessitano dell’occhio attento dei professionisti del settore. E lo fa grazie a un team di avvocati, commercialisti e specialisti del settore arte, appunto, composto da: Nicola Baù, Marco Giampieretti, Alessandro Guerrini, Cristian Lorenzin, Marco Trevisan e dal presidente Umberto Zagarese.
COSA FA ONE STOP ART
Articolata in tre aree principali di competenza, Art consulting, Art collection management e Tax e Legal, la società “risponde a una carenza nel mercato della consulenza dell’arte di un’unica realtà che accentri servizi specializzati”, racconta il Presidente di One Stop Art Umberto Zagarese, “i nostri target sono sia soggetti pubblici che privati ai quali garantiamo soluzioni complete, personalizzate e innovative”. La gestione delle opere d’arte, infatti, così come di una intera collezione, può risultare un compito difficile quanto delicato. One Stop Art entra nell’agone dell’Art Collection Management, proponendosi di affiancare coloro che hanno necessità di gestire e conservare al meglio i patrimoni artistici, di movimentarli a livello nazionale e internazionale, di assicurarli tramite idonee polizze fine art o di digitalizzarli attraverso i più avanzati strumenti tecnologici. E affianca anche i propri clienti nella compravendita delle opere d’arte, curandone i processi di “due diligence” e di valutazione, sia per scopi assicurativi, che patrimoniali e successori, e nel comparto fiscale e legale.
LA CONSULENZA PERSONALIZZATA DI ONE STOP ART
In aggiunta, uno sguardo è riservato anche alla progettazione culturale. “La nostra consulenza si estende anche alla parte strategica su progetti culturali di privati e imprese”, sottolinea Nicola Baù, Vice Presidente della società, “con un’offerta di servizi completa e integrata costruita sulle tre fasi di visione, pianificazione e implementazione. Tali possono essere la creazione di musei d’impresa, fondazioni, o progetti espositivi e artistici compositi”. Insomma, una sorta di “sportello unico”, come l’One Stop Shop in ambito finanziario, segnalano i fondatori, “dove i clienti possono ottenere tutto ciò di cui hanno bisogno in un solo stop”.
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