di Avv. Michela Zanetti

 

Tornano gli NFT nelle aule dei tribunali d’oltreoceano: questa volta a far da padrona è la blasonata ed iconica Birkin di Hermès, o meglio la sua versione NFT denominata “MetaBirkin” e realizzata dall’artista Mason Rothschild. Risale a qualche giorno fa la decisione con cui il giudice federale di Manhattan ha messo fine ad una battaglia legale durata un anno e mezzo, riconoscendo piena tutela al marchio della maison francese e vietando il conio e la vendita degli NFT MetaBirkins. Il provvedimento sembra destinato a costituire un importante precedente che fa approdare nel mondo dei collectibles e degli NFT il tema relativo all’utilizzo di marchi celebri in un’opera altrui.

Il caso

Nel 2021 l’artista Sonny Estival, in arte Mason Rothschild, coniava e lanciava in alcuni marketplace digitali una collezione di cento NFT denominati “MetaBirkin”: si trattava di borse in tutto e per tutto simili alla celeberrima icona di Hermès, solo più colorate e ricoperte di pelliccia (sempre, rigorosamente, digitale). Il successo degli NFT MetaBirkins fu incredibile (ed inspiegabile): in pochissimo tempo, il ricavato delle vendite superò il milione di dollari. Eppure Hermès con questi NFT non c’entrava proprio nulla, anzi: nessun legame tra la casa di moda e il signor Estival, nessuna licenza, nessuna partnership. Così, all’inizio del 2022, Hermès interveniva per porre fine all’attività di questo “speculatore digitale” e tutelare, una volta per tutte, il proprio marchio dal rischio di confusione ed annacquamento. Rothschild replicava alle accuse di Hermès appellandosi al Primo Emendamento della Costituzione Americana ed invocando il proprio diritto a creare arte basandosi su una personale “reinterpretazione del mondo”: in altre parole, Rothschild affermava che le sue borse altro non erano se non una caricatura delle “cugine” del mondo reale, la rappresentazione di un gesto artistico di critica verso il mondo dei beni di lusso. Per nulla convinto da questa teoria, Hermès citava in giudizio Rothschild per contraffazione di marchio, concorrenza sleale e cybersquatting. Dopo l’ordinanza dello scorso due febbraio del giudice Rakoff, la questione veniva rimessa alla giuria per il verdetto finale. Quest’ultima dichiarava Rothschild un truffatore (uno swindler per l’esattezza) e riconosceva a Hermès un risarcimento di 133mila dollari, rilevando la reale sussistenza di confusione ed agganciamento nonché l’annacquamento del marchio della nota casa di moda francese. Qualche giorno fa, la sentenza definitiva: il Giudice ha decretato il divieto di conio e vendita degli NFT MetaBirkins e ordinato a Rothschild di trasferire il dominio www.metabirkins.com a Hermès e restituire tutti i profitti ricavati dalla vendita degli NFT MetaBirkins.

La questione sottesa al caso: utilizzo di un marchio celebre in un’opera altrui

Dalla nascita della pop art ai giorni nostri possiamo contare numerosi esempi di opere d’arte in cui è stato utilizzato un marchio celebre: si pensi, solo per citarne un paio, alla Big Campbell di Andy Warhol, esposta al MoMA di New York, o alla Coca Cola di Mario Schifano. Tuttavia, quando ciò accade, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: utilizzare un marchio celebre in un’opera avente valore artistico è lecito o configura un’ipotesi di contraffazione? Negli anni, la giurisprudenza – comunitaria e americana – ha cercato di rispondere a questo interrogativo, effettuando attenti bilanciamenti on a case by case basis tra la tutela della proprietà industriale e la tutela della libertà artistica, dimostrandosi tendenzialmente favorevole a quest’ultima.

Il legislatore comunitario è intervenuto sul punto nel considerando 27 della Direttiva (UE) 2015/2436 e nel considerando 21 del Regolamento (UE) 2015/2424, affermando che “è opportuno che i diritti esclusivi conferiti dal marchio d’impresa non permettano al titolare di vietare l’uso da parte di terzi di segni o indicazioni utilizzati correttamente e quindi conformemente alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. […] L’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Inoltre, la presente direttiva dovrebbe essere applicata in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione”.

Capire la portata e lo scopo dell’utilizzo del marchio celebre all’interno di un’opera altrui diventa senz’altro fondamentale per verificarne la liceità o meno (il marchio rappresenta solo uno degli elementi dell’opera o ne costituisce il cuore? Il marchio viene citato in un contesto diverso rispetto a quello di riferimento o nel medesimo? il marchio viene richiamato nell’opera con il solo scopo di trarre profitto dalla sua celebrità? Il richiamo e l’utilizzo del marchio nell’opera rischiano di confondere i consumatori sull’identità del prodotto e sulla sua origine?) e bilanciare la tutela offerta dal diritto industriale con la tutela della libertà espressiva artistica.

Oltreoceano si possono annoverare precedenti illustri sul tema. Si pensi al caso Rogers v Grimaldi, per esempio. In questo caso, Grimaldi, produttore della pellicola “Ginger e Fred” firmata nel 1986 dal regista Federico Fellini, era stato citato in giudizio dall’attrice Ginger Rogers per lesione del proprio diritto al nome e alla privacy. La Rogers sosteneva che l’utilizzo del proprio nome nel titolo del film inducesse il pubblico a credere che il contenuto della pellicola fosse stato da lei stessa autorizzato o co-prodotto. Nella sentenza, la Corte aveva stabilito che la protezione del Primo Emendamento è esclusa (i) se il titolare del marchio/nome dimostra che l’uso all’interno dell’opera non è artisticamente rilevante o (ii) se il marchio/nome è usato per ingannare esplicitamente il pubblico circa la fonte o il contenuto dell’opera stessa (queste condizioni sono note oggi come “Rogers Test”). Su queste basi, la Corte aveva respinto le accuse mosse dalla Rogers, affermando che l’accoglimento delle sue richieste avrebbe ingiustificatamente limitato il diritto all’espressione artistica del regista. Questo precedente è stato invocato anche nel caso in esame: la difesa di Rothschild, infatti, ha cercato di difendersi dalle accuse di Hermès insistendo sulla tutela garantita dal Primo Emendamento alla libertà di espressione artistica, chiedendo l’applicazione proprio del “Rogers test”. In altre parole, secondo Rothschild il marchio sarebbe stato utilizzato meramente espressione artistica e non come indicatore di provenienza del bene. Sul punto, se da un lato il Giudice Rakoff si era dimostrato favorevole a considerare l’utilizzo come espressione artistica, dall’altro – in forza di alcune prove presentate nel corso del processo che avevano confermato la mala fede e l’intento speculativo del progetto di Rothschild – aveva statuito che “in alcuni casi, l’interesse pubblico ad evitare la concorrenza sleale o il rischio di confusione nei consumatori circa l’origine di un prodotto supera qualsiasi questione relativa alle libertà di cui al Primo Emendamento”. La questione era stata quindi rimessa alla giuria, che, pur senza escludere il carattere artistico dell’uso, aveva confermato l’utilizzo ingannevole del marchio da parte di Rothschild.

Conclusioni

Nel caso in esame, i giudici e la giuria non hanno avuto dubbi nel respingere la tesi difensiva di Rothschild, che con la sua condotta ha tentato di ingannare i consumatori, sfruttando la notorietà commerciale del marchio Birkin per promuovere un progetto speculativo di natura finanziaria (sarebbe stato Rothschild stesso ad affermare che la vendita degli NFT MetaBirkins era un modo per “get rich quick”). Il divieto di conio e vendita degli NFT segna la fine definitiva della vicenda. La decisione rappresenta un importante precedente in merito alla questione sulla liceità dell’utilizzo di un marchio celebre in un’opera altrui, e più in generale sulla tutela della proprietà industriale che approda quindi definitivamente nel complesso mondo del metaverso e degli NFT.

© RIPRODUZIONE RISERVATA