Curata da Caroline Bourgeois, dal 27 marzo 2022 all’8 gennaio 2023 è in corso a Palazzo Grassi “Open-end”, un’importante mostra personale dedicata a Marlene Dumas: più di cento opere, una selezione di dipinti e disegni realizzati dal 1984 a oggi, provenienti dalla Collezione Pinault, da musei internazionali e collezioni private.

Sudafricana, classe 1953: Marlene Dumas cresce e studia durante il regime dell’apartheid, condizione che ha profondamente plasmato la sua poetica e la cui influenza è tuttora visibile nelle sue opere estremamente provocanti; tra le tematiche maggiormente ricorrenti, in quanto profondamente legate alla storia personale dell’artista, vi sono infatti le questioni razziali e di genere, accompagnate da tematiche più astratte come l’amore, la sofferenza, le dipendenze, la passione o i tabù.
Insieme alle cause sociali, un altro punto di interesse per l’artista è rappresentato dalla poesia: non stupisce dunque di trovare una stanza riservata a Baudelaire, ritratto accanto a Jeanne Duval e ad alcuni dipinti ispirati ai poemi de Lo spleen di Parigi.

La mostra propone dunque una visione complessiva del percorso dell’artista, la cui produzione si concentra principalmente sulla rappresentazione dei corpi umani, colti in estasi o in sofferenza, vitali o trapassati, investiti dalle emozioni più intense, privati dunque di filtri o inibizioni.
L’artista trae ispirazione da immagini provenienti da giornali, riviste, fotogrammi cinematografici o polaroid scattate personalmente: rielaborate successivamente sulla tela, lasciano spazio alla libera interpretazione.
A ciò si ricollega la scelta del titolo della mostra, ovvero “Open-end”: due parole discordanti che racchiudono parte della riflessione artistica, come rivela Dumas stessa: “ho pensato alla parola ‘open’, aperto, e al modo in cui i miei dipinti siano aperti a diverse interpretazioni. Nelle mie opere lo spettatore vede immediatamente ciò che ho dipinto, ma non ne conosce ancora il significato. Dove comincia l’opera non è dove termina.”

Nell’ambito del programma di monografiche dedicate agli artisti più influenti nel panorama artistico contemporaneo, segnaliamo anche una grande mostra retrospettiva di Anish Kapoor che esordisce alle Gallerie dell’Accademia e si conclude a Palazzo Manfrin: curata da Taco Dibbits, la duplice esposizione presenta una sequenza di lavori fondamentali, dalle sculture degli esordi eseguite col pigmento, come 1000 Names, alle opere sul vuoto, fino ad un nuovo corpo di sculture inedite create con il Kapoor Black, un materiale nanotecnologico innovativo, una sostanza talmente scura da assorbire più del 99,9% della luce visibile, tale da smaterializzare gli oggetti rendendoli impercettibili all’occhio umano.

Accanto al nero, il colore rosso domina la scena: oltre a sottolineare le radici indù dell’artista, contribuisce a creare un qualcosa di vitale e terrificante allo stesso tempo, dove sangue, carne e materia si mescolano in un impasto violento: i suoi iconici lavori, come Shooting into the corner, sebbene realizzati in passato si rivelano piuttosto attuali, in quanto evocano gli scenari drammatici della guerra come quella in corso, impressionando lo spettatore.
Emblematica dell’artista è la dimensione partecipativa delle sue opere: lo spettatore è infatti chiamato ad osservare, sperimentare e dunque reinterpretare, facendosi guidare dalla propria emotività. Le opere di Anish Kapoor rifuggono difatti ogni definizione tradizionale, prestandosi ad assumere significati sorprendentemente nuovi che talvolta capovolgono le aspettative del pubblico.

Dal 20 aprile al 9 ottobre 2022 sarà possibile visitare la mostra, in concomitanza con la cinquantanovesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia.