Lo scorso 13 febbraio è stata proclamata l’apertura ufficiale dell’801° anno accademico dell’Università degli Studi di Padova presso l’Aula Magna “Galileo Galilei”: al termine del discorso della magnifica rettrice Daniela Mapelli e dell’intervento del ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, è stata presentata al pubblico “L’abiura di Galileo”, opera d’arte in due atti di Emilio Isgrò.

Negli anni successivi alla pubblicazione della sua opera Sidereus Nuncius, nella quale abbracciava la teoria copernicana ed il sistema eliocentrico, Galileo diede in stampa diverse altre opere, che gli valsero un primo richiamo da parte dell’Inquisizione. La pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo segnò la condanna di Galileo, che già nel 1616 aveva subito dal Sant’Uffizio una diffida dal professare la teoria copernicana. Così, la mattina del 22 giugno 1633, Galileo fu costretto a pronunciare una pubblica abiura inginocchiato al cospetto dei cardinali inquisitori.

L’atto primo “Eppur si muove” è un mappamondo in granito cancellato di quasi sei tonnellate di peso e due metri di diametro posizionato nel cortile antico del Palazzo del Bo, mentre l’atto secondo “Chissà se si muove davvero” è un libro cancellato di carta, tela e legno di 140x95cm ed è collocato all’interno della Sala dei Quaranta: l’opera, nella sua interezza, arricchisce la sede storica dell’Università di Padova e consegna a tutti noi un’eredità permanente di enorme bellezza artistica.
La cancellatura è il tratto distintivo dell’opera dell’artista che nel tempo ha dato luogo ad una vera e propria arte conferendo un’identità nuova alle parole e ai segni che raccontano e rappresentano la pittura i cui esiti, sempre sorprendenti per varietà di forme e stili, sono stati progressivamente accolti da importanti musei italiani e stranieri.

“Quando mi fu chiesto di creare un’opera per gli ottocento anni dell’Università di Padova, apprezzai soprattutto che non mi fosse imposto né il tema né la tipologia dell’opera. Dovevo scegliere io. […] Fu proprio in questo Palazzo del Bo che vidi per la prima volta, ruvida e grandiosa, la cattedra di Galileo, non immaginando che un giorno sarei stato chiamato a celebrare con la mia libertà d’artista la potenza di un uomo che di libertà ne aveva goduta meno di me. […] Pensai alla sua dolorosissima abiura – ieri come fosse oggi – e subito decisi di cancellarla: non per riaprire piaghe purulente, ma per sanare con un segno d’arte e d’amore il male peggiore: la cecità del mondo quando nega il sapere. […] Mi è parso corretto rappresentare non solo la certezza, ma anche il dubbio di Galileo. Non perché egli ne avesse, ma perché a volte una censura occhiuta e tignosa, per non dire crudele, i dubbi li crea anche in chi non ne ha. […]” Emilio Isgrò