Webinar | Investimenti in opere d'arte
Ringraziamo Consultique SCF, società leader in Italia nell’analisi e consulenza finanziaria indipendente, per averci invitati a parlare di Investimenti in opere d'arte durante il webinar svoltosi mercoledì 12 luglio.
È stata un'occasione stimolante per dialogare con i professionisti di One Stop Art su temi centrali legati al mondo dell'arte: il Dott. Umberto Zagarese, fiscalista e collezionista, ha parlato di come e perché formare una collezione di opere d'arte, il Dott. Marco Trevisan, art advisor e direttore della Fondazione Alberto Peruzzo, ha spiegato l'importanza di creare un portafoglio di opere equilibrato per valorizzare al meglio la propria collezione, l'avv. Michela Zanetti, art project manager dello studio L2B Partners, ha illustrato la rilevanza della due diligence in ambito artistico per tutelare il collezionista dall'acquisto di opere problematiche ed infine il Dott. Alessandro Guerrini, amministratore delegato di Art Defender, ha concluso l'intervento esplicitando i vantaggi dei servizi correlati al mondo dell'arte, come il trasporto, l'assicurazione ed il deposito.
Per chi fosse interessato, la registrazione integrale del webinar è disponibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=Ioq_kw0l-DQ.
Backstage One Stop Art – Le cantine “culturali”: intervista a Nicola Baù
Nell’edizione del Vinitaly che si è appena conclusa sono stati esposti i “Bacco” di Caravaggio e Guido Reni: perché?
L’esposizione di questi due capolavori dell’arte italiana e mondiale (in prestito dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze) all’interno del più importante evento fieristico mondiale dedicato al vino italiano sancisce ufficialmente il connubio tra arte ai massimi livelli e vino.
Come ha dichiarato il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, l’obiettivo è quello “di far percepire quanto sia radicato il vino nella storia e nella cultura italiana e mondiale, un elemento utile per raccontarla e garantire ai nostri prodotti agroalimentari, attraverso i nostri beni culturali, di entrare nei mercati attraverso strade alternative”.
Quindi il legame tra arte e vino è un fenomeno recente?
No, il binomio arte e vino ha origini antiche. Il vino è da sempre una presenza costante nelle opere d’arte, dalla pittura alla scultura. Il vino è presente già nell’arte egizia del XIV secolo a.C., in quella classica antica (greca e romana) e nel Rinascimento italiano. Il nettare di Bacco è rappresentato nelle nature morte di molti artisti dell’Ottocento e degli impressionisti per arrivare fino all’arte contemporanea. Addirittura, nell’edizione 2023 del CAM Mondadori, il catalogo d’arte contemporanea più famoso d’Italia, sono riportate due opere denominate “Gea” [pronuncia “Ghea”, ndr] a firma dell’artista trevigiana Eleonora Bottecchia che consistono in due jeroboam [bottiglie da 3l, ndr] di prosecco e prosecco rosé: sicuramente una prima volta storica del prosecco nel CAM.
Quindi possiamo senz’altro affermare che il vino è stato da sempre scelto dall’arte.
La vera “novità” è che, oggi, anche l’arte viene scelta dal vino o, più precisamente, dalle aziende vitivinicole.
Quali sono le iniziative legate all’arte più diffuse tra le cantine?
Possiamo provare a raggruppare tali iniziative all’interno di alcune macrocategorie, con la precisazione che non è sempre agevole inquadrarle all’interno di una categoria piuttosto che di un’altra:
(a) Acquisto o commissione di opere d’arte da installare in cantina: tra i molteplici esempi, si pensi alle collezioni di Ca’ Del Bosco (Franciacorta), Castello di Ama (Chianti Classico), Zaccagnini (Abruzzo), Mastroberardino (Avellino) e Antinori (Chianti Classico);
(b) Realizzazione di etichette o packaging d’artista: qui gli esempi potrebbero essere infiniti, mi limito a citare la cantina Nittardi (Chianti Classico), appartenuta a… Michelangelo Buonarroti e acquistata negli anni Ottanta da Peter Femfert, noto collezionista, editore e gallerista di Francoforte, nonché Pradio (Friuli), della famiglia Cielo, che ha affidato la realizzazione delle etichette di propri vini di maggiore qualità al pittore locale Walter Starz;
(c) Progettazione della cantina affidata ad architetti o designer di fama internazionale: mi vengono subito in mente le 14 cantine appartenenti circuito denominato “Toscana Wine Architecture” (winearchitecture.it), firmate dai grandi maestri dell'architettura contemporanea, di cui fa parte anche la cantina Antinori, eletta cantina più bella del mondo dal World’s Best Vineyards 2022; oppure Tenuta Castelbuono (Umbria), della famiglia Lunelli, caratterizzata dalla cupola in rame a forma di “carapace” realizzata da Arnaldo Pomodoro;
(d) Partnership con realtà culturali e artistiche: si pensi alla recente collaborazione tra Pasqua Vini (Verona) e lo studio d’arte multidisciplinare fuse* che, per il secondo anno consecutivo, hanno portato al Vinitaly un’installazione site-specific (quella di quest’anno è denominata “Luna Somnium”); oppure alla collaborazione storica tra Bellavista (Franciacorta) e il Teatro alla Scala di Milano nell’ambito della quale ogni anno vengono realizzati apposite etichette e confezioni; oppure ancora alla Zenato Academy, progetto dell’azienda Zenato (Verona), che nasce come laboratorio permanente di studio e sperimentazione in campo culturale e fotografico e, in collaborazione con alcune scuole di fotografia, promuove i giovani, realizza mostre e volumi fotografici;
(e) Realizzazione di musei tematici del vino: si possono citare il MUVIT (Museo del Vino) gestito dalla Fondazione Lungarotti Onlus (e dalla famiglia Lungarotti, proprietaria dell’omonima cantina), con sede a Torgiano (Umbria) nonché il Museo del Prosecco che verrà realizzato a Conegliano all’interno del “Parco Prosecco” (polo agritech incubatore di startup) in un sito di archeologia industriale abbandonato.
Oltre alle iniziative appena menzionate, ne esistono innumerevoli altre tipologie, quali: la sponsorizzazione di eventi culturali e artistici (in cui la cantina-sponsor ha l'opportunità di promuovere il proprio marchio associandolo all'iniziativa oggetto di sponsorizzazione), la liberalità a sostegno del patrimonio culturale (incentivata attraverso il cd. art bonus), anche nella forma della devoluzione di percentuali sulle vendite di una linea di bottiglie a cause artistico-culturali, la promozione di premi d’arte o letterari, la realizzazione di residenze per artisti, l’organizzazione di viaggi culturali, l’organizzazione di seminari e workshop per dipendenti e clienti su temi artistico-culturali.
Qual è stata la prima cantina a “scegliere” l’arte?
Sono leggendarie alcune etichette di Grand Cru di Bordeaux della cantina Château Mouton Rothschild (Francia) realizzate da artisti come Georges Braque, Joan Mirò e Francis Bacon. Alcune di queste bottiglie sono dei veri e propri oggetti da collezione.
Perché le aziende vitivinicole decidono di investire in arte e cultura?
In base alla mia esperienza, ritengo che la principale motivazione all’investimento culturale risieda nella passione personale dell’imprenditore o della famiglia proprietari della cantina. Tuttavia, mi sembra l’arte venga sempre di più percepita come un medium per migliorare l’immagine aziendale e il prestigio del brand. Altre motivazioni sono legate al perseguimento di obiettivi di: responsabilità sociale d’impresa (miglioramento del luogo di lavoro dei dipendenti, supporto alla comunità artistica, creazione di nuove connessioni con i clienti e la comunità locale); comunicazione di un’impresa innovativa; investimento economico; stimolo alla creatività dei dipendenti; ottenimento di vantaggi fiscali.
Quali difficoltà incontrano le “cantine culturali”?
In generale, con l’eccezione di poche cantine più strutturate e con una maggiore tradizione culturale, spesso rilevo un approccio improvvisato e poco programmato rispetto all’iniziativa culturale.
Infatti, va ricordato che l’opera d’arte – ancor più se parte di una collezione – è un bene peculiare e complesso sia dal punto di vista del suo regime giuridico (diritti di sfruttamento, esportazione, vincolo culturale, ecc.) sia per quanto riguarda la sua conservazione (ambiente idoneo, assicurazione).
All’interno dell’azienda manca quasi sempre una figura o un ufficio specifico che si occupi della gestione della collezione. A volte le cantine, per realizzare e gestire le proprie collezioni, neppure si affidano a dei professionisti esterni (avvocati, fiscalisti, art advisor, broker assicurativi, esperti di finanza agevolata).
Inoltre, molte cantine culturali ignorano il problema della corretta contabilizzazione delle proprie opere d’arte, della scelta del criterio di valorizzazione in bilancio (costo o fair value) e dei successivi aggiornamenti di valore (anche ai fini assicurativi).
Dal punto di vista del marketing, se le opere sono un asset strategico, devono essere scelte, gestite e comunicate in maniera coerente con la vision e l’immagine aziendale.
C’è un’iniziativa in tema arte-vino in particolare che vorrebbe menzionare?
Da appassionato di musica, non posso non ricordare il compositore giapponese Ryuichi Sakamoto, peraltro mancato pochi giorni fa, autore tra l’altro di note colonne sonore come quelle per i film diretti da Bernardo Bertolucci “L'ultimo imperatore” e “Il tè nel deserto”.
Nel 2022 il maestro Sakamoto, su incarico della Maison de Champagne Krug (gruppo LVMH), ha composto “Suite for Krug in 2008”, una sinfonia ispirata ai tre Champagne realizzati con il raccolto di un’annata eccezionale. Attraverso questa iniziativa, la Maison Krug intende evidenziare l’influenza del suono sulla percezione del gusto. In pratica, in luogo del più noto abbinamento gastronomico, la Maison Krug propone un abbinamento musicale come modalità inedita per scoprire sfaccettature inaspettate dei propri Champagne.
Backstage One Stop Art - L'esportazione delle opere d'arte: intervista a Marco Giampieretti
C’è differenza tra l’esportazione di un’opera d’arte e l’esportazione di un bene culturale?
Sì, ci può essere differenza perché non sempre un’opera d’arte è un bene culturale, e viceversa: le opere d’arte sono creazioni intellettuali con valore estetico in qualunque modo espresse, mentre i beni culturali sono lasciti del passato salvaguardati dall’ordinamento in quanto testimonianze di civiltà. In Italia l’esportazione dei beni culturali è sottoposta a un rigido sistema di limiti e di controlli al fine di preservare l’integrità del patrimonio storico-artistico nazionale. Quando un’opera d’arte è qualificabile come bene culturale, presentando i requisiti stabiliti dalla legge, le si applicano i vincoli all’esportazione previsti per questo tipo di beni, altrimenti la sua circolazione è libera.
Come si individuano i beni culturali nell’ordinamento italiano?
Secondo l’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. n. 42/2004 e ss. mm. ii.) sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. In particolare, il Codice prevede tre modi di individuazione dei beni culturali a seconda delle loro caratteristiche e della loro appartenenza: mentre le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie, archivi, biblioteche ecc. appartenenti a soggetti pubblici sono considerate tali dalla legge senza bisogno di alcun accertamento amministrativo (c.d. “beni culturali ex lege”), tutti gli altri beni pubblici e privati (opere d’arte, reperti archeologici, documenti, monete, manoscritti, libri, stampe, incisioni, carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole cinematografiche, ville, parchi, giardini, piazze, strade, mezzi di trasporto, siti minerari e industriali, strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica ecc.) che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni richiedono un’attestazione dell’interesse culturale da parte del Ministero della cultura nella forma della “verifica” o della “dichiarazione”. Si tratta di due procedimenti distinti – il primo dei quali si applica ai soggetti pubblici e alle persone giuridiche private non profit e il secondo in ogni altro caso – e con esiti parzialmente diversi: mentre la verifica negativa fa cessare i vincoli a cui il bene è provvisoriamente assoggettato, pur non essendo ancora riconosciuto come bene culturale, la dichiarazione (al pari della verifica positiva) li fa iniziare, riconoscendo a tutti gli effetti la natura culturale del bene.
Quali sono i limiti all’esportazione delle opere d’arte qualificate come beni culturali?
A livello internazionale l’Italia rientra tra i Paesi c.d. “esportatori” di beni culturali, cioè quei Paesi che, per storia o per tradizione, possiedono un ricco patrimonio culturale e dai quali i beni culturali tendono a uscire più che a entrare. In questi Paesi la legge limita solitamente la possibilità di esportare i beni culturali allo scopo di tutelare il patrimonio culturale nazionale e di evitarne il depauperamento. Da noi le disposizioni del Codice in materia di circolazione internazionale dei beni culturali (dall’art. 64-bis all’art. 87-bis) perseguono questo obiettivo – compatibilmente con gli obblighi internazionali dell’Italia e con i vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea – impedendo l’esportazione definitiva dei beni culturali e consentendone l’esportazione temporanea solo a determinate condizioni.
Cosa si intende per “esportazione temporanea” e per “esportazione definitiva”?
Per “esportazione definitiva” si intende l’uscita del bene dal territorio della Repubblica senza che ne sia previsto il rientro, mentre per “esportazione temporanea” si intende l’uscita del bene per un certo tempo, che viene in genere stabilito nel momento in cui si chiede di poterlo esportare.
Quali sono i limiti all’esportazione definitiva e quelli all’esportazione temporanea?
I limiti all’esportazione definitiva sono previsti dall’art. 65 del Codice, che vieta l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica di tutti i beni culturali (ex lege, dichiarati o verificati con esito positivo), dei beni non ancora verificati e di quelli che il Ministero abbia temporaneamente escluso dall’uscita perché dannosa per il patrimonio culturale. L’uscita definitiva è consentita invece, con autorizzazione dell’ufficio di esportazione del Ministero (c.d. “attestato di libera circolazione”), per alcune categorie di beni previste dalla legge (archivi e singoli documenti di interesse culturale appartenenti a privati; fotografie, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi con più di 25 anni; mezzi di trasporto con più di 75 anni; oggetti e strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica con più di 50 anni) e per tutti i beni non ancora dichiarati che presentino un interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni, se siano di valore superiore a 13.500 euro. Se il loro valore è inferiore a questa soglia l’uscita dei beni è libera, così come lo è l’uscita delle opere di pittura, di scultura, di grafica e di qualsiasi altro oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione risalga a meno di 70 anni: non perché l’arte contemporanea sia considerata meno importante di quella antica o moderna, ma per non comprimere eccessivamente il mercato dell’arte e non contrarre la produzione artistica italiana impedendo la circolazione internazionale delle opere di più recente creazione. I limiti all’esportazione temporanea sono previsti dagli artt. 66 e 67 del Codice, che consentono l’uscita temporanea dei beni culturali dal territorio della Repubblica, con autorizzazione dell’ufficio di esportazione del Ministero (c.d. “attestato di circolazione temporanea”), in determinati casi (partecipazione a manifestazioni, mostre o esposizioni d’arte di alto interesse culturale; mobilio privato di cittadini italiani che debbano trasferirsi all’estero per esercitare funzioni pubbliche; arredamento di sedi diplomatiche o consolari; analisi, indagini o interventi di conservazione da eseguire necessariamente all’estero; scambi con istituzioni museali straniere), per un tempo definito (indicato nell’attestato e comunque non superiore a 18 mesi, salvo che per il mobilio dei funzionari, che può restare all’estero per la durata del mandato, e per gli scambi museali, che possono arrivare fino a 4 anni, rinnovabili una sola volta) e a precise condizioni volte a garantire l’integrità e la sicurezza dei beni (indicazione del responsabile della custodia all’estero; rispetto delle eventuali prescrizioni del Ministero; assicurazione dei beni; cauzione a garanzia del loro rientro nel termine stabilito). Non possono in ogni caso uscire dal territorio nazionale i beni suscettibili di subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli e quelli che costituiscano il fondo principale della sezione di un museo, di una pinacoteca, di una galleria, di un archivio, di una biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica, per non pregiudicare oltre misura l’attrattività del luogo in cui si trovano.
Ci sono limiti all’importazione delle opere d’arte qualificate come beni culturali?
No, non ci sono limiti all’ingresso di opere d’arte nel nostro Paese, neppure quando si tratti di beni culturali, fatto salvo il necessario rispetto dei vincoli europei e degli impegni internazionali sulla restituzione dei beni illecitamente esportati. In genere gli Stati non pongono limiti all’importazione di beni culturali perché essa permette loro di arricchire il proprio patrimonio culturale, aumentare l’attrattività del proprio territorio e rafforzare il proprio mercato dell’arte. L’Italia non fa eccezione: nel Codice esiste un’unica disposizione dedicata a questo tema, l’art. 72 (“Ingresso nel territorio nazionale”), secondo cui la spedizione di beni culturali da uno Stato membro dell’Unione Europea o la loro importazione da un Paese terzo è certificata, a domanda, dall’ufficio di esportazione del Ministero, sulla base di documentazione idonea a identificare i beni e a comprovarne la provenienza. Il documento rilasciato dal Ministero (c.d. “certificato di avvenuta spedizione” o “certificato di avvenuta importazione”) può essere utile a diversi fini: ad esempio, per dimostrare la liceità dell’esportazione in caso di contestazione da parte delle autorità del Paese di uscita. Ma qui il discorso diventerebbe lungo e ci porterebbe troppo lontano.
Quali sono gli effetti di questa disciplina sul mercato dell’arte?
I limiti all’esportazione dei beni culturali previsti dall’ordinamento italiano sono giustificati dalla necessità di preservare il nostro patrimonio culturale in tutte le sue componenti. Si tratta di un impegno ineludibile, espressamente dichiarato dall’art. 64-bis del Codice e che trova fondamento nell’art. 9, comma 2, della Costituzione, secondo cui la Repubblica “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della Nazione”. Tuttavia, la particolare rigidità della disciplina e l’estremo rigore con cui viene applicata dagli uffici competenti possono rivelarsi un ostacolo insormontabile alla circolazione internazionale delle opere d’arte, mettendo l’Italia nella paradossale condizione di avere un patrimonio culturale tra i più ricchi al mondo e un mercato dell’arte tra i meno sviluppati d’Europa.
Backstage One Stop Art - L’arte che abbraccia la tecnologia: intervista a Marco Trevisan
In cosa consiste l’innovazione insita nell’arte?
“L’arte è sempre contemporanea” è una affermazione di molti in varie epoche e ha trovato espressione in alcune opere, come quella di Maurizio Nannucci “All art has been contemporary” del 1999 - non a caso posizionata all’ingresso di alcuni musei, come la GAM di Torino e l’Altes Museum di Berlino. La parola arte porta con sé, come bagaglio perenne, la nozione di innovazione, perché l’arte sperimenta e ricerca, e lo fa con materiali, linguaggi e significati. Oggi le possibilità per l’arte, dialogando con la tecnologia e la scienza, di essere innovativa sono infinite.
In quali ambiti avviene la collaborazione tra arte e società in maniera fattiva?
L’arte oggi può avere una sua funzione pratica nella società, senza negare – sarebbe assurdo – quella di tensione verso il bello, o di creazione di pensiero. Questo ruolo eventuale dell’arte è cresciuto con il crescere dello sviluppo scientifico e tecnologico, ed oggi diventa uno dei punti cruciali del nostro sviluppo di esseri umani. In un recente libro io stesso l’ho chiamata “ars factiva” (Ars Factiva, Marco Trevisan, Ed. Scheiwiller-24 Ore Cultura, 2021) riferendosi ad essa come ad arte efficace, produttiva, ma ars factiva significa anche, letteralmente, produzione artistica. È arte che dialoga con il mondo delle imprese, della tecnologia, dell’educazione, della società nel suo complesso. L’arte oggi non può avere solo un ruolo consolatorio – come è avvenuto spesso nella fase di lockdown dell’epoca pandemica – o di ricerca di investimento o di status symbol attraverso il mercato.
Come si è trasformato il ruolo del curatore in questo processo di contaminazione tra arte, scienza e tecnologia?
In questo contesto – di interazione tra arte e tecnologia, in dialogo con la società - nascono laboratori dove scienziati, tecnici, manager d’azienda e artisti costituiscono gruppi di lavoro creando una sintesi di linguaggio, lavorando in tempi definiti su temi concreti (per es. il volo senza pilota, l’interazione uomo-robot in ambito lavorativo, etc.). Le stesse aziende (come Mercedes, Bmw, Sap, Microsoft, Hyundai) collaborano con artisti multimediali per fare ricerca o per sperimentarne l’impatto sulla società. È evidente in questi casi come i curatori – la cui presenza è necessaria - debbano avere il ruolo di garanti dell’indipendenza del pensiero artistico, coordinando i progetti più che elaborando i temi.
Quali sono le nuove caratteristiche della produzione artistica?
Il percorso che ha portato molti new media artist ad agire a cavallo tra istituzione, industria, ricerca scientifica, accademia, produzione, lavorando in un ambito di sperimentazione, ha fatto sì che le aziende siano sempre più interessate a collaborazioni. Il processo di produzione di questo tipo di artisti è cambiato, ed è sempre più sostenuto sia da istituzioni che da fondi privati, interessati a lavorare con artisti e designer che utilizzano le tecnologie o fenomeni scientifici che essi stessi utilizzano in chiave creativa e critica.
Quali sono alcune delle nuove applicazioni della tecnologia in campo artistico?
Uno degli sviluppi più evidenti che ha investito il mondo dell’arte negli ultimi anni ha a che fare con le capacità immersive di certe forme d’arte multimediali, che usano il video e il suono, ma spesso stimolano anche altri sensi. Filoni interessanti abbracciano l’uso dei big data (data art), altri il linguaggio dei videogiochi, altri ancora l’interazione con l’ambiente (non solo dal punto di vista tematico, ma anche come modalità produttiva, per es. con l’uso di elettrodi collegati a forme viventi e a piante). Al centro del dibattito in campo artistico ora ci sono gli NFT, ma in questo caso più che di novità di espressione artistica, bisogna parlare di novità di modello di mercato.
È in atto un fenomeno di progressiva disintermediazione del mercato: come cambiano le regole del “gioco”?
Di tecnologia in campo artistico si può parlare da vari punti di vista, dalle nuove capacità produttive (di cui abbiamo appena parlato), ai nuovi strumenti di scambio (come gli NFT), allo sviluppo di nuove piattaforme e nuove modalità di condivisione delle opere (siti, portali, club in digitale). Il fatto che sia sempre più facile avere una conoscenza diretta della proposta artistica, anche da luoghi lontani nel mondo, e che sia sempre più possibile per i collezionisti stessi mettersi in contatto e far sapere agli altri cosa si possiede, rende sempre più agevole lo scambio diretto di opere stesse. La vecchia figura del gallerista che accompagnava il collezionista in tutto e per tutto non esiste quasi più. Il ruolo di galleristi, dealer e case d’asta è in evoluzione; non si tratta più di rapporti fiduciari, ma di sviluppare nuove competenze e nuovi servizi, anche finanziari, da offrire. In questo contesto di disintermediazione è però facile “perdersi”, ed è quindi utile e consigliato affidarsi alle consulenze indipendenti e alle competenze di operatori come One Stop Art.
Backstage One Stop Art - La voce di Alessandro Guerrini in materia di servizi di assicurazione e trasporto nel mondo dell'arte
Quali sono i criteri per scegliere il giusto operatore a cui affidare un trasporto di opere d’arte?
Il primo criterio per selezionare a chi affidare il trasporto di un’opera o di una collezione d’arte è quello di scegliere operatori specializzati in logistica fine art, ovvero quelle aziende che hanno, su questa tipologia specifica di beni, un’esperienza riconosciuta, consolidata e pregressa. Nello specifico, per individuare gli operatori del settore, esistono diverse associazioni di categoria - Artim e Icefat, a livello internazionale, Logistica Arte, a livello italiano - che raggruppano le più prestigiose realtà che si occupano di logistica fine art nei vari paesi. Indipendentemente da ciò, è sempre importante scegliere aziende che abbiano un proprio personale dipendente specializzato e verificare che il trasporto, o anche solo parte di esso, non venga subappaltato ad altri operatori non qualificati. I mezzi utilizzati per il trasporto devono avere caratteristiche specifiche, richieste anche dalle compagnie assicurative: devono essere infatti climatizzati per garantire la stabilità delle condizioni termo-igrometriche, devono essere dotati di antifurto satellitare e devono essere dotati di sospensioni idropneumatiche che consentano di ridurre le vibrazioni. È opportuno infine scegliere operatori che abbiano internalizzato tutta la filiera dei servizi necessari: dalla falegnameria per la produzione degli imballaggi, fino alle competenze per gestire la parte documentale di un trasporto, ovvero gli adempimenti di carattere doganale e ministeriale.
Perché è opportuno assicurare le proprie collezioni d’arte?
Nel mercato italiano c’è, ahimè, una scarsa cultura assicurativa legata al mondo fine art, tale che oggigiorno ci sono grandi collezioni - sia in ambito pubblico che privato - prive di copertura assicurativa. Assicurare un’opera significa proteggere - quantomeno dal punto di vista economico - l’investimento che si è fatto acquistandola. Vediamo invece che, soprattutto nei collezionisti privati, c’è una attitudine limitata alla prevenzione e alla gestione dei rischi. Molto spesso i collezionisti privati sottovalutano i rischi a cui è esposta la propria collezione o hanno una errata percezione di essi: la maggior parte ritiene che il rischio più frequente sia rappresentato dal furto, quando invece, - statistiche alla mano - tale rischio è assolutamente residuale. Sono molto più frequenti, al contrario, i danni accidentali o i danni derivanti da allagamenti, incendi o fenomeni atmosferici estremi.
Quali sono i criteri per valutare un’opera a fini assicurativi?
Le valutazioni propedeutiche alla accensione di una polizza assicurativa devono essere effettuate da periti autorevoli ed accreditati e devono essere “accettate” dalle compagnie assicurative. Devono basarsi inoltre su dati oggettivi e devono essere dimostrabili, quindi supportate da evidenze di dati pubblici, come ad esempio vendite all’asta di opere confrontabili per autore, tipologia o dimensioni. In generale le valutazioni a fini assicurativi si basano sul cosiddetto criterio del rimpiazzo, ovvero sono formulate per rispondere alla domanda “quanto costerebbe oggi acquistare sul mercato un’opera con caratteristiche assimilabili a quelle dell’opera assicurata?”
Esistono anche altre tipologie di valutazioni?
Si, oltre a quelle a scopo assicurativo, esistono anche le valutazioni a scopo patrimoniale, ovvero quelle finalizzate alla determinazione dell’entità di un patrimonio artistico; esistono poi le valutazioni a fini ereditari - spesso associate anche all’esigenza di divisione di un patrimonio in più lotti - così come esistono le valutazioni a fini bilancistici, che si realizzano per le corporate collection e che hanno come obiettivo quello di determinare il valore da iscrivere a bilancio secondo il cosiddetto principio del “fair value”.
Quali sono le motivazioni per cui alcuni collezionisti decidono di depositare le proprie opere in caveau specializzati?
Questa è la domanda che più spesso viene posta agli operatori che si occupano di custodia di patrimoni artistici perché è naturale pensare che chi compra un’opera d’arte se la voglia godere nel proprio ambiente domestico o di lavoro. In realtà, le ragioni per cui possono diventare necessari servizi di conservazione sono molteplici: innanzitutto, molto spesso i collezionisti, incrementando continuamente le proprie raccolte, arrivano al punto in cui esauriscono lo spazio che hanno a disposizione e hanno quindi necessità di trovare altri luoghi dove conservare le proprie opere in condizioni di sicurezza. Altrettanto frequentemente l’esigenza di un caveau nasce da situazioni temporanee: la ristrutturazione di una casa impone, ad esempio, al collezionista la necessità di trovare uno spazio dove depositare le proprie opere. La terza ragione è rappresentata dal fatto che, in taluni casi, i caveau specializzati sono luoghi in cui, oltre alla conservazione, vengono forniti anche altri servizi come il trasporto, il restauro, il monitoraggio dello stato di conservazione o il private viewing: i collezionisti dunque trovano in queste strutture la possibilità di gestire in modo completo la propria collezione. Infine, gli investitori - quindi coloro che acquistano opere d’arte in un’ottica meramente speculativa - trovano nei caveau la risposta alla propria esigenza di tutelare, in termini di “safety” e “security”, gli investimenti finanziari sostenuti.
Dal punto di vista fiscale, i caveaux presentano dei vantaggi di qualche tipo?
I caveau possono avere dei vantaggi anche di carattere fiscale nel momento in cui offrono il servizio di deposito doganale: in questi caveau specializzati, infatti, le opere provenienti da paesi extra Unione Europea possono essere conservate - a tempo indeterminato - in un regime di sospensione dell’IVA all’importazione. In Italia, tale imposta è pari al 10% del valore dell’opera e pertanto rappresenta un onere significativo che grava sul collezionista.
Quali sono le situazioni da cui emerge più frequentemente la necessità di avvalersi dei servizi di gestione di una collezione d’arte?
Sono innanzitutto situazioni ordinarie come, ad esempio, l’acquisto o la vendita di un’opera che fanno inevitabilmente scaturire l’esigenza dei servizi di assicurazione, di trasporto e conservazione di cui abbiamo appena parlato. Ma sono anche situazioni di carattere straordinario come quella del passaggio generazionale, un momento di discontinuità in cui gli eredi a cui viene trasmessa un’opera o una collezione d’arte si trovano di fronte a scenari potenzialmente molto complessi. Gli eredi sono emotivamente scossi dalla perdita di una persona cara e al contempo devono fare delle scelte che avranno ripercussioni sul futuro della collezione. Tali scelte possono portare infatti alla vendita del patrimonio artistico ereditato, piuttosto che al suo smembramento. Per affrontare con consapevolezza queste situazioni è sempre opportuno coinvolgere un consulente indipendente che possa rappresentare al meglio gli scenari possibili, che possa orientare la scelta degli eredi verso quello ottimale e che possa infine assisterli nella gestione degli aspetti operativi, legali e fiscali.
Backstage One Stop Art - Il Presidente Umberto Zagarese ci racconta di com’è diventato un collezionista
Cosa la appassiona della sua professione di commercialista?
Mi stimola molto la libera iniziativa e lo sviluppo della creatività nel proporre soluzioni di organizzazione e pianificazione fiscale e societaria anche a livello internazionale. Il rapporto diretto con gli imprenditori, che sono sempre alla ricerca di crescere ed innovare, consente anche a me di trovare soluzioni diverse e originali che tengano conto del cambiamento dei tempi.
Quali sono le domande più ricorrenti che le vengono poste dai suoi amici collezionisti relative all’ambito fiscale?
Le domande più ricorrenti riguardano le problematiche fiscali che derivano dalla divisione di collezioni di opere d’arte che possono nascere sia in vita che per effetto di successioni patrimoniali all’interno delle famiglie, come anche poi la tassazione delle plusvalenze in caso di vendita di opere d’arte oppure il pagamento dell’iva nell’acquisto di opere d’arte se derivano da importazioni piuttosto che da acquisti all’interno dell’Unione Europea.
Si ricorda quando e perché ha deciso di diventare un collezionista?
Mio padre è stato un importante collezionista che ha precorso i tempi e mi ha fatto conoscere circa 40 anni fa artisti molto importanti come Francis Bacon e Marc Chagall. Verso i 30 anni ho iniziato a collezionare opere d’arte in virtù della passione che mi era nata sin dall’adolescenza visitando gli atelier degli artisti e approfondendo il loro pensiero. Ho capito che mi interessava l’arte contemporanea perché rispecchia i cambiamenti del mondo e si collega con la scienza, l’innovazione, la tecnologia e anche l’economia.
Come sceglie le opere d’arte da inserire nella sua collezione? Come si informa a riguardo?
La scelta delle opere d’arte nasce da una naturale inclinazione che ho sviluppato nel tempo per alcuni artisti che ben rappresentano i problemi sociali, culturali e politici degli anni che stiamo vivendo. Sicuramente mi ha molto aiutato la partecipazione alle fiere e alle esposizioni internazionali, nonché l’approfondimento sui libri e sul web. Per quanto riguarda la valutazione delle opere, esistono piattaforme su internet che permettono di conoscere i risultati delle aste a livello internazionale di quasi tutti gli artisti, sia emergenti che storicizzati. Ho iniziato a collezionare artisti moderni come Vedova e Hartung, per poi spostarmi nel contemporaneo con Pintaldi, Cattelan e Ai Weiwei.
Quando compra un’opera, che documenti d’accompagnamento richiede?
Innanzitutto richiedo sempre un condition report, ovvero uno studio tecnico dello stato di conservazione dell’opera, che attesti se l’opera ha subito dei restauri nel tempo e se i materiali che la compongono sono tutti originali.
L’altro documento fondamentale è il certificato di autenticità, che normalmente viene rilasciato dall’artista, se vivente, oppure dall’archivio della fondazione dell’artista se non più vivente.
Per legge le gallerie d’arte devono sempre rilasciare al compratore un certificato di autenticità, le Case d’asta, invece, non sono soggette a questo obbligo.
Quali sono la prima e l’ultima opera ad essere entrate a far parte della sua collezione?
La prima opera che ho acquistato è un olio su carta di Emilio Vedova, mentre l’ultima che è entrata nella mia collezione è una scultura di Maurizio Cattelan. La prima mi ha subito colpito per l’impeto della tecnica pittorica utilizzata dall’artista, sublime rappresentante dell’action painting italiana. La seconda per la genialità delle idee sempre trasgressive e anticonformiste dell’artista padovano.
Qual è la sua più grande soddisfazione?
Sono nato come neofita e ciò che più mi dà soddisfazione è vedermi riconosciuta, da chi invece ha dedicato la vita all’Arte, una naturale sensibilità all’individuazione delle opere di qualità e alla corretta stima del loro valore. Fin da piccolo collezionavo tutto ciò che mi interessava, non per il gusto di possedere ma perché era il mezzo per imparare a conoscere la storia e le caratteristiche degli oggetti.
Qual è la sua opera sogno nel cassetto?
Un dipinto di Marlene Dumas, grandissima artista contemporanea sudafricana di non facile reperibilità sul mercato se non a prezzi oramai inaccessibili.
Dicono di noi: Artribune intervista i fondatori della società
di Antonio Mirabelli
Una nuova società fa il suo ingresso nel mondo dell’Art Consulting System: One Stop Art, di base a Padova ma con forte vocazione internazionale, si propone di fornire servizi di consulenza dedicati agli operatori del mercato dell’arte – collezionisti, galleristi, case d’asta, artisti, privati, imprese, enti pubblici e family office – al fine di supportare la gestione di diverse procedure tecniche legate all’arte e alle collezioni e che, spesso, necessitano dell’occhio attento dei professionisti del settore. E lo fa grazie a un team di avvocati, commercialisti e specialisti del settore arte, appunto, composto da: Nicola Baù, Marco Giampieretti, Alessandro Guerrini, Cristian Lorenzin, Marco Trevisan e dal presidente Umberto Zagarese.
COSA FA ONE STOP ART
Articolata in tre aree principali di competenza, Art consulting, Art collection management e Tax e Legal, la società “risponde a una carenza nel mercato della consulenza dell’arte di un’unica realtà che accentri servizi specializzati”, racconta il Presidente di One Stop Art Umberto Zagarese, “i nostri target sono sia soggetti pubblici che privati ai quali garantiamo soluzioni complete, personalizzate e innovative”. La gestione delle opere d’arte, infatti, così come di una intera collezione, può risultare un compito difficile quanto delicato. One Stop Art entra nell’agone dell’Art Collection Management, proponendosi di affiancare coloro che hanno necessità di gestire e conservare al meglio i patrimoni artistici, di movimentarli a livello nazionale e internazionale, di assicurarli tramite idonee polizze fine art o di digitalizzarli attraverso i più avanzati strumenti tecnologici. E affianca anche i propri clienti nella compravendita delle opere d’arte, curandone i processi di “due diligence” e di valutazione, sia per scopi assicurativi, che patrimoniali e successori, e nel comparto fiscale e legale.
LA CONSULENZA PERSONALIZZATA DI ONE STOP ART
In aggiunta, uno sguardo è riservato anche alla progettazione culturale. “La nostra consulenza si estende anche alla parte strategica su progetti culturali di privati e imprese”, sottolinea Nicola Baù, Vice Presidente della società, “con un’offerta di servizi completa e integrata costruita sulle tre fasi di visione, pianificazione e implementazione. Tali possono essere la creazione di musei d’impresa, fondazioni, o progetti espositivi e artistici compositi”. Insomma, una sorta di “sportello unico”, come l’One Stop Shop in ambito finanziario, segnalano i fondatori, “dove i clienti possono ottenere tutto ciò di cui hanno bisogno in un solo stop”.
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Dicono di noi: Milano Finanza intervista il Presidente della società, il dott. Umberto Zagarese
di Gaia Grassi
Nel mondo dei servizi professionali nell'ambito del mercato dell'arte esiste una figura, quella dell'art consultant, che fornisce una consulenza specialistica a 360° ai propri clienti, suggerendo opere da acquistare con il fine di garantire investimenti economici, ma tenendo in considerazione anche la passione del collezionista e la qualità degli artisti. Oggi questo professionista si appoggia spesso a una rete di collaboratori in campo progettuale, gestionale, amministrativo e, non da ultimo, legale e di marketing, come spiega Vera Canevazzi nel suo libro Professione Art Consultant (Franco Angeli). Il vantaggio per le aziende? Avere un referente unico per le diverse sfere di competenza e necessità. «In un momento come questo, in cui è tangibile la voglia di ripresa nel mercato, è importante porsi con una proposta innovativa capace di garantire servizi a tutto tondo nel mondo dell'arte antica, moderna e contemporanea», spiega Umberto Zagarese, presidente di One Stop Art, società nata a Padova a fine 2021 e che offre consulenza strategica per progetti culturali e assistenza su aspetti legali e fiscali, art advisory, valutazioni, conservazione, logistica e assicurazioni. «L'input che ci ha fatto partire è stato proprio il riscontro dell'assenza in questo mondo di un'unica entità in grado di fornire servizi specializzati. Esistono singoli professionisti che lavorano in network con altri, ma non esiste un'aggregazione degli stessi che possa offrire un servizio chiavi in mano. Il nome scelto per la società - che ha competenze anche in materia di musica, letteratura, cinema e teatro -esprime proprio questo concetto». E se, qualche anno fa, questi servizi interessavano soprattutto i grandi alberghi o i gruppi bancari, oggi qualcosa è cambiato. «I nostri target sono soggetti pubblici e privati: la dimensione non ha alcuna rilevanza», continua Zagarese. «La nostra sede è a Padova, dove risiede la maggioranza dei soci, ma non abbiamo limiti geografici entro i quali operare, abbiamo relazioni e collaborazioni sia nazionali sia internazionali». Entrando nello specifico, sono tre le macroaree nelle quali si possono riassumere i servizi offerti da una società come One Stop Art: Art consulting, Art collection management e Tax & Legal. Ciò consente di spaziare dall'art advisory, per un supporto qualitativo e quantitativo nella compravendita, alla ricerca di autentiche, fino alla consulenza strategica su progetti culturali di privati o imprese che vogliano dar vita a nuove fondazioni, musei d'impresa, case d'asta o altri soggetti profit o non profit, mettendo in campo un'offerta di servizi completa e integrata, costruita sulle tre fasi di visione, pianificazione e implementazione. Importante anche il supporto per la gestione, ordinaria e straordinaria, di opere e collezioni d'arte, che permette di conservare al meglio i patrimoni artistici, di movimentarli a livello nazionale e internazionale, di assicurarli tramite idonee polizze fine art o di digitalizzarli attraverso i più avanzati tools tecnologici. Last but not least, per tutti gli operatori del mercato — collezionisti, galleristi, case d'asta, artisti, privati, imprese, enti pubblici e family office — una consulenza altamente personalizzata nelle problematiche legali e fiscali correlate al mondo dell'arte. «Tra i tanti servizi offerti, quelli più richiesti sono l'art advisory nella compravendita di opere d'arte e nella creazione di collezioni, la consulenza nella divisione delle opere per questioni ereditarie, le valutazioni, la conservazione e il restauro delle stesse. Non mancano richieste per una consulenza strategica sulla fattibilità di progetti culturali più strutturati». (riproduzione riservata)