Gli accorgimenti da adottare nell’acquisto di un’opera d’arte
Prima di acquistare un’opera d’arte è opportuno effettuare un’approfondita due diligence, in modo da escludere, o quanto meno limitare, i rischi che si potrebbero correre.
Giacché sussistono principi di carattere legale e fiscale, che vanno attentamente approfonditi, si tratta di un procedimento che viene normalmente demandato ai consulenti per ricercare ed approfondire le informazioni relative all’opera, al fine di individuare le eventuali criticità e valutarne la convenienza all’acquisto.
Innanzitutto occorre disporre di informazioni attendibili sull’originaria attribuzione, sulle caratteristiche dell’opera, la tecnica adottata nella sua realizzazione, il nome dell’autore, il titolo, le dimensioni ed il periodo di esecuzione. A corredo dell’opera è sempre opportuno richiedere inoltre un condition report, ovvero uno studio tecnico che ricostruisca lo stato di conservazione, che attesti se l’opera ha subito dei restauri nel tempo e se i materiali che la compongono sono tutti originali. È opportuno anche individuare i precedenti proprietari, se è stata oggetto in passato di eventuali esportazioni o importazioni, così come le esposizioni o le pubblicazioni in cui sia stata citata o rappresentata.
Altro documento fondamentale è il certificato di autenticità che normalmente viene rilasciato dall’artista, oppure dall’archivio della fondazione dell’artista, se non più vivente. Si tratta di un attestato di primaria importanza poiché ogni opera d’arte, oltre a possedere un connaturato valore estetico, ha una sua precisa valenza economica che impone all’investitore un approccio di prudenza, essenziale anche nell’ottica di una successiva rivendita.
Si sono verificati diversi casi in cui un’opera d’arte acquistata fosse risultata non autentica a seguito di una successiva expertise condotta dall’archivio dell’artista.
Per quanto concerne gli aspetti legali, occorre accertarsi che il venditore sia il legittimo proprietario dell’opera d’arte attraverso un’approfondita verifica documentale: solo l’accertamento della titolarità ne consente la vendita legittima. Bisogna inoltre verificare se l’opera in questione sia soggetta alla legge sul diritto d’autore come opera dell’ingegno, oppure al codice dei beni culturali in quanto ne potrebbe essere vincolata l’esportazione.
Se infatti si manifestasse la necessità di esportare definitivamente un’opera d’arte acquistata in Italia, bisognerebbe fare attenzione nel caso in cui si trattasse di un bene culturale, poiché l’opera sarebbe salvaguardata dall’ordinamento in quanto testimonianza di civiltà e dunque le si applicherebbero i vincoli all’esportazione previsti per questa tipologia di beni (cfr. “Backstage One Stop Art - L'esportazione delle opere d'arte: intervista a Marco Giampieretti”).
Pertanto, solo al termine di un’accurata due diligence sarà possibile prevedere gli opportuni termini e condizioni della compravendita, adottando sempre gli adeguati strumenti di garanzia che di norma vengono adottati in queste circostanze.
Dagli NFT al Metaverso: le evoluzioni contemporanee dell'arte digitale
Oggigiorno viviamo immersi nel digitale ed assistiamo alla rivoluzione che sta accadendo: cambiano le abitudini e le modalità di approccio ai problemi, il che comporta la necessità di comprendere il linguaggio dei nuovi media e di elaborare contenuti mediante la tecnologia.
Sebbene l’arte digitale abbia iniziato a diffondersi già a partire dagli anni ‘60, gli NFT rappresentano la sua declinazione più contemporanea ed attuale, ovvero l’evoluzione in criptoarte. Nella creazione di un’opera digitale o nella digitalizzazione di un’opera fisica preesistente, gli NFT rappresentano uno strumento per garantire l’autenticità in rete, in quanto sono certificati di proprietà che permettono di trasformare un'elaborazione digitale in opera unica ed immutabile.
Quello degli NFT è un universo affascinante e multiforme, rappresenta una rivoluzione intangibile ma con un rilevante impatto sul nostro immaginario, che crea esperienze immersive di enorme valore. Le performance vengono trasformate in esperienze multisensoriali, in cui lo spettatore può sentirsi parte dell’esibizione, ovunque si trovi, oltre al fatto che un’opera può essere concepita come lavoro artistico digitale ma poi dare accesso ad un’esperienza fisica o a degli eventi esclusivi.
Assistiamo inoltre ad un nuovo trend di creazione dell’arte in cui i membri delle community divengono prosumer, ossia consumatori e produttori al medesimo tempo, attraverso l’uso di tecnologie e software che si sono susseguiti vorticosamente negli ultimi anni.
Sebbene gli NFT stiano assumendo una certa rilevanza nell’arte contemporanea, non esiste attualmente un mercato secondario sviluppato e regolamentato per la loro circolazione.
Accanto agli NFT assistiamo all’ascesa del Metaverso, un luogo senza limiti di immaginazione che creerà una convergenza ininterrotta tra la nostra vita digitale e quella fisica, diventando un grande contenitore di opportunità e connettore di tecnologie. È una modalità esperienziale basata sull’immersive discovery tipica dei videogame che interagisce con le community che popolano i social network e ci prospetta uno scenario in cui le persone potranno giocare, socializzare e svolgere innumerevoli attività secondo modalità che al giorno d’oggi abbiamo ancora difficoltà ad immaginare. A gennaio 2023 anche il primo museo basato interamente sulla blockchain, ovvero l’Infinity Art Museum, dovrebbe farvi il suo ingresso. Il progetto museale si svilupperà interamente online e basterà avere una connessione ad Internet per accedervi.
Questo mondo in continua evoluzione contribuirà a rendere l’arte più democratica ed accessibile, nel dichiarato tentativo di rispondere a dei bisogni, espressi o ancora inespressi, dei suoi potenziali utenti. Iniziano a diffondersi le promesse di un’interoperabilità tra piattaforme che in futuro troverà nel Metaverso la massima espressione del suo potenziale: qualsiasi tipologia di informazione o dato potrà essere trasferita assieme al proprio utente proprietario da un mondo virtuale all’altro, in tutta semplicità. In questo modo l’esperienza dell’utente verrà migliorata di gran lunga, rendendola molto simile alla realtà fisica, dove un oggetto può essere spostato da un luogo all’altro senza difficoltà.
Ci vorrà necessariamente del tempo affinché questa sfida venga portata a compimento, numerose sono tuttora le insidie che si nascondono dietro a questo ecosistema digitale, in particolare tecnologiche ed ingegneristiche: dati gli ingenti carichi di traffico che dovranno essere sostenuti, la realizzazione di questo immenso progetto richiederà un livello di efficienza computazionale più elevato di quello che attualmente disponiamo e dunque dovrà esser fatto uno sforzo collettivo da parte delle grandi aziende e start up per unire le forze in questa direzione.
Musei d’impresa, tra storia e innovazione: il caso Foscarini-Rossi
di Marco Trevisan
I musei d’impresa sono veicoli di sintesi tra storia e innovazione. Questo dice Museimpresa, la più importante rete nazionale di musei e archivi d’impresa. Permettono di documentare e raccontare quanto le imprese hanno fatto e continuano a fare per la crescita economica, sociale, civile dell’Italia. Ma quello che ci interessa sottolineare, in questo momento, è appunto il dialogo tra il passato e il futuro che queste realtà possono attivare e rendere virtuoso.
Sempre più aziende stanno investendo in modalità di recupero e valorizzazione della propria storia, ma allestendo nello stesso tempo spazi espositivi per attivare anche iniziative artistiche e culturali. Si tratta di progetti di conservazione di un patrimonio di tecnica, di rimettere in circolo la memoria storica del fare – particolarmente importante nel nostro paese – ma anche di progetti di comunicazione e di sinergia con il mondo della creatività, talvolta dando vita a veri e propri luoghi di produzione culturale. Un’altra importante è rappresentata dal dialogo che può nascere tra la creatività delle aziende e quella esterna.
Tali progetti richiedono un investimento attivo e continuativo da parte dell’azienda, con il museo che diventa un luogo dinamico d’istruzione e valorizzazione, con ricadute positive sia sul territorio che sul posizionamento dell’azienda stessa. Le tipologie di progetto di musei d’impresa sono le più varie, basti ricordare realtà come Ferrari, Ferragamo, Campari, ma anche delle soluzioni che stanno nel mezzo tra progetto aziendale e centro d’arte e di ricerca contemporaneo, come nel caso del Mast e dell’Opificio Golinelli, entrambi a Bologna.
Non lontano da Venezia, una delle più conosciute ville della Riviera del Brenta (tra le quali la Malcontenta, Villa Pisani, Villa Widmann) si trova Villa Foscarini-Rossi, complesso architettonico secentesco che sorge a Stra, in stile Palladiano. La Riviera del Brenta è anche un importantissimo distretto calzaturiero, formato da più di 500 aziende che impiegano circa 10.000 addetti e producono complessivamente 19 milioni di paia di scarpe in media, la gran parte per l’esportazione, frutto della collaborazione con i più importanti brand del lusso. Luigjno Rossi, che lanciò con i fratelli a fine anni ’40 la Rossimoda, oggi parte del Gruppo LVMH, è uno degli imprenditori chiave del distretto. Oggi proprietario del complesso, decise all’inizio degli anni ’90 di creare all’interno di Villa Foscarini (da allora Villa Foscarini Rossi) un Museo della Calzatura, esponendo i pezzi più rappresentativi creati dall'azienda nel corso della sua attività.
Il Museo della Calzatura raccoglie una collezione di oltre 1500 modelli di calzature femminili di lusso (realizzati con brand quali Pucci, Calvin Klein, Dior, Fendi, Kenzo, etc.) e racconta la storia dell’azienda, ma anche i saperi del territorio e l'evoluzione del costume e della moda nella seconda metà del Novecento. Il Museo, inoltre, ospita eventi di vario genere: organizzazione di mostre temporanee, concerti, presentazione di libri, visite guidate in costume d'epoca. Luigino Rossi è anche uno stimato e appassionato collezionista di arte moderna e contemporanea. Uno dei più importanti collezionisti di Andy Warhol, per esempio. Incursioni di arte contemporanea si trovano spesso all’interno della Villa, e parte della collezione è posta in visione.
I musei privati, la loro ascesa e le loro problematiche
di Marco Trevisan
A fine 2021 è uscito in Italia il libro “L’inarrestabile ascesa dei musei privati” (ed. Johan & Levi) di Georgina Adams, esperta riconosciuta a livello internazionale di mercato dell’arte, giornalista per il Financial Times e The Art Newspaper, oltre che autrice di molti libri sull’argomento. La Adams precisa che “in questo libro il termine museo privato indica sia uno spazio artistico no-profit aperto al pubblico, fondato da un collezionista, che un museo fondato da un’azienda”. Questi ultimi, sia musei corporate (che ragionano attorno alla storia dell’azienda stessa) che musei brandizzati ospitanti collezioni varie, negli ultimi anni si sono sviluppati in maniera decisa. Basti pensare ai nuovi musei dei magnati francesi Arnault e Pinault – Fondation Louis Vuitton e la Bourse de Commerce – ed in Italia dalla Fondazione Prada a realtà intitolate a collezionisti privati che nella gran parte dei casi sono imprenditori, come la Fondazione Coppola a Vicenza e la Fondazione Carlon a Verona.
Adams spiega che collezionare per sé stessi o decidere di esporre le proprie opere in uno spazio accessibile al pubblico comporta una scelta che a sua volta genererà conseguenze sulla destinazione ultima del patrimonio familiare e sul coinvolgimento o meno degli eredi. Ma ha un impatto anche sul modo di collezionare: una raccolta personale può nascere – e succede spesso – da scelte anche originali ed eccentriche, a volte senza logica; quando un collezionista acquista per uno spazio che verrà aperto al pubblico, cambia punto di vista, cerca consulenze esterne e criteri di selezione.
Sempre la giornalista, in un articolo comparso su Linkiesta il 27 novembre scorso, cita come esempio italiano Luigino Rossi, che lanciò con i fratelli a fine anni ’40 la Rossimoda, e decise all’inizio degli anni ’90 di creare all’interno di Villa Foscarini (da allora Villa Foscarini Rossi) un Museo della Calzatura, esponendo i pezzi più rappresentativi, 1500 modelli di calzature femminili di lusso. Ma il museo ha anche il compito di testimoniare i saperi del territorio, di diffondere la conoscenza della tradizione calzaturiera della Riviera del Brenta e di documentare l’evoluzione del costume e della moda nella seconda metà del Novecento, oltre che mostrare l’importante collezione di arte moderna e contemporanea di Luigino Rossi.
Ma quali sono le motivazioni che spingono questi imprenditori? Molti citano il tema del “restituire valore alla comunità”. Tuttavia nei casi più di impatto mediatico e di investimenti messi in gioco – come per le grandi case di moda citate prima- si tratta anche di operazioni di “branding”. “Un museo privato di proprietà aziendale deve necessariamente avere successo, perché in caso contrario avrebbe un impatto negativo sul marchio”. C’è chi parla anche di voler contribuire al dibattito culturale del proprio tempo, ma pure di voler fare qualcosa per contrapporsi alla sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, o semplicemente per far crescere il valore della propria collezione con operazioni visibili e mirate. L’Italia, a livello di istituzioni, fa poco per lo sviluppo e la valorizzazione dell’arte contemporanea e dei propri artisti, e per qualcuno con delle possibilità finanziarie non resta che sostituirsi ai governi locali offrendo una piattaforma per l’arte, senza contare che un giorno alcune di queste raccolte diventeranno comunque di proprietà pubblica. L’alternativa della donazione all’ente pubblico, con il collezionista ancora in vita, va comunque contro il senso di controllo e fiducia che individui abituati a decidere in autonomia non vogliono perdere.
La sopravvivenza di un museo privato, aziendale o meno, alla morte del fondatore, non è scontata. La prima questione cruciale è il finanziamento del progetto, e non è detto che gli eredi lo vedano di buon occhio o lo possano portare avanti. Può anche verificarsi, al cambiare delle generazioni, un mutamento radicale di gusto. Il rischio è che la raccolta venga dispersa distruggendo l’eredità familiare, ad esempio vendendo i pezzi migliori. Si può anche creare un problema di leadership e visione, venuta a mancare con la dipartita del fondatore. I temi delicati possono essere vari, e per molti musei privati che vedono la luce, ce ne sono sempre altrettanti che devono chiudere i battenti. Le scelte, quindi, di opportunità, strategiche e contenutistiche, devono essere attentamente valutate.